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Giurisprudenza 6339/ 05 (10/04/2007)

Tipo: Sentenza

Autorità: Autorità europee: Corte europea dei diritti umani

Data: 10/04/2007

Oggetto: Il 12 luglio 2000 la ricorrente e J., il suo compagno, avviarono un trattamento contro la sterilità in una clinica specializzata nella procreazione medicalmente assistita. Il 10 ottobre 2000, all’ esito di una visita specialistica presso detta clinica, venne verificato che l’interessata presentava alcuni tumori precancerosi alle ovaie. Le fu proposto di sottoporsi, prima dell’intervento di ovariectomia che essa doveva subire, ad un trattamento di fecondazione “in vitro” (FIV). Il 12 novembre 2001 la coppia si recò in clinica per sottoporsi al programmato trattamento (FIV), a seguito del quale furono generati e messi in crioconservazione sei embrioni. Il 26 novembre 2001 la Signora Evans subì l’asportazione delle ovaie. Le si fece presente che avrebbe dovuto attendere due anni per l’impianto nel suo utero degli embrioni suddetti. Nel frattempo, la relazione fra la ricorrente e J. ebbe termine. Nel richiamo alla legge del 1990, J. fece presente alla clinica che egli non consentiva più né l’utilizzo degli embrioni da parte della sola Signora Evans né il prosieguo della loro conservazione. La ricorrente avviò una procedura dinanzi l’Alta Corte, sollecitando essa, fra l’ altro, un’ordinanza d’ingiunzione a carico di J. per il rilascio del suo consenso. Questa domanda fu respinta il 1 ottobre 2003, e tale decisione fu confermata in appello. Il 26 gennaio 2005 la clinica informò la ricorrente di trovarsi nell’obbligo legale di distruggere gli embrioni e di prevedere come possibile tale distruzione per il 23 febbraio 2005. Il 27 febbraio 2005 la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, adita dalla ricorrente, invitò il governo britannico, in applicazione dell’articolo 39 (disposizioni provvisorie) del suo regolamento, ad adottare i provvedimenti necessari per impedire la distruzione degli embrioni da parte della clinica fino a quando la Corte avesse terminato di esaminare la vertenza. Gli embrioni dunque non furono distrutti. L’interessata, per la quale tali embrioni rappresentavano l’unica possibilità di avere un figlio di sangue proprio, è stata sottoposta con successo a terapie anticancro ed essa risulta medicalmente idonea a ricevere l’impianto degli embrioni. La clinica sembra pronta a procedere al trattamento, sotto condizione del consenso di J. La ricorrente sostiene che il fatto di pretendere il consenso del suo ex compagno per il prosieguo della conservazione degli ovuli fecondati e per il loro impianto, vìola suoi diritti sanciti dall’articolo 8 (diritto al rispetto della vita privata e familiare) e dall’articolo 14 (divieto di discriminazione) della Convenzione europea dei Diritti dell’Uomo, così come il diritto alla vita degli stessi embrioni, secondo quanto previsto dall’articolo 2 (diritto alla vita) di tale Convenzione. La Corte ha deciso per la non violazione degli articoli 2, 8 e 14. Articolo 2 della Convenzione. In base alle ragioni espresse dalla Sezione (vedere Sentenza 7 marzo 2006), la Grande Camera ha ritenuto che gli embrioni generati dalla ricorrente e da J. non possono avvalersi del diritto alla vita così come protetta dall’articolo 2, e che quindi non sussiste violazione di tale norma. Articolo 8 della Convenzione La Corte ha rilevato che la ricorrente non dimostra di trovarsi in alcun modo impedita di divenire madre nei significati sociale, giuridico, ed anche fisico del termine, non vietando né il diritto né la prassi interna di adottare un bimbo, e perfino di dare vita ad un bimbo concepito “in vitro” con i gameti di un donatore. Il dilemma centrale di questa causa riguarda il fatto che si trovano in conflitto i diritti attinti nell’articolo 8 da due individui: la ricorrente e J. Per di più, l’interesse di ciascuno è totalmente inconciliabile con quello dell’altro. Inoltre, la Grande Camera, sull’esempio della Sezione, ha riconosciuto che la vertenza non concerne semplicemente un conflitto tra individui: la normativa in materia persegue paritariamente un certo numero di interessi più vasti, di ordine generale. La questione principale è sapere se l’applicazione nella fattispecie delle disposizioni legislative richiamate ha determinato un giusto equilibrio tra gli interessi pubblici e privati concorrenti in gioco. A tal proposito, la Grande Camera aderisce alle conclusioni dei giudici nazionali secondo cui J. non aveva mai consentito che la ricorrente utilizzasse da sola gli embrioni generati dalla coppia. I problemi sollevati in questa vertenza rivestono senza dubbio un carattere moralmente ed eticamente delicato. Inoltre, non esiste un’ impostazione europea uniforme in tale ambito. Circa l’equilibrio creato fra i diritti conflittuali che le parti di un trattamento di fecondazione “in vitro”(FIV) possono radicare sull’articolo 8 (diritto al rispetto della vita privata e familiare), la Grande Sezione, così come le altre autorità giudiziarie aventi cognizione di questa causa, si compenetra nella situazione della ricorrente, che desidera palesemente e soprattutto un figlio del proprio sangue. Tuttavia, in considerazione di quanto detto, e specialmente in assenza di univoco consenso europeo al riguardo, la Grande Camera ha ritenuto non potersi accordare maggior peso al diritto della ricorrente di vedere rispettata la sua scelta di diventare madre nel senso genetico del termine, che al diritto di J. di vedere rispettata la sua volontà di non avere un figlio biologicamente concepito con lei. Se la ricorrente critica le disposizioni di diritto nazionale relative al consenso nella parte in cui esse non permettono alcuna deroga, la Corte ritiene che il carattere assoluto della legge non è, di per sé, necessariamente incompatibile con l’articolo 8. Per la Corte, gli interessi generali perseguiti dalla legge sono legittimi e compatibili con l’articolo 8. Riguardo alla mancanza di univoca impostazione europea in materia, ma anche al fatto che le disposizioni di diritto interno erano prive di ambiguità, che essere erano state portate a conoscenza della ricorrente e che come tali determinavano un giusto equilibrio tra gli interessi in conflitto, la Grande Camera ritiene non esservi stata violazione dell’articolo 8 della Convenzione. Articolo 14 della Convenzione. La Grande Camera, in base alle conclusioni della Sezione e delle parti, ha ritenuto di non dover decidere sulla questione di sapere se la ricorrente può dolersi di una differenza di trattamento rispetto ad un’altra donna che si trovasse in situazione analoga alla sua. La Grande Camera ha ritenuto che i motivi inducenti a concludere per la non sussistente violazione dell’articolo 8, costituiscono ugualmente una giustificazione oggettiva e ragionevole ai fini dell’articolo 14.

Parti: Evans c/ Regno Unito

Classificazione: Dignità - Art. 2 Diritto alla vita - Art. 6 Libertà - Art. 7 Vita privata - Art. 20 Uguaglianza - Art. 21 Non discriminazione - Art. 47 Diritto a un ricorso effettivo dinanzi a un giudice