Tipo: Sentenza
Autorità: Autorità europee: Corte europea dei diritti umani
Data: 07/06/2007
Oggetto: due ricorrenti Jerome Dupuis e Jean-Marie Pontaut sono giornalisti francesi, nati rispettivamente nel 1964 e nel 1947, residenti a Parigi ove pure ha sede la società editrice “Librairie Arthème Fayard”.
La causa verte sulla condanna penale riportata dai ricorrenti per avere pubblicato nel 1996 un libro intitolato “Le orecchie del Presidente” relativo al fenomeno denominato in Francia come “gli ascolti dell’Eliseo”. Tale sistema illegale di ascolti e schedature, organizzato ai vertici dello Stato francese e riguardante numerose personalità della società civile, perdurò dal 1983 al 1986.
Nel 1982, fu costituita una “Missione di coordinamento, informazione, azione contro il terrorismo”.
Tale “cellula anti-terrorismo” dell’Eliseo fu insediata dal 1983 al marzo 1986 presso la presidenza della Repubblica francese e si dette sia alle intercettazioni telefoniche, sia alle registrazioni. Verso i primi anni ’90, la stampa pubblicò l’elenco di 2000 persone intercettate nel cui novero figuravano in particolare numerose personalità nonché giornalisti e avvocati; la vicenda ebbe a quel tempo grande risonanza mediatica.
Nel 1993, fu avviata un’inchiesta giudiziaria nel cui ambito G. M. – all’epoca delle intercettazioni, direttore aggiunto di Gabinetto del Presidente Francois Mitterrand - venne indagato per attentato alla vita privata altrui.
Il gennaio 1996, pochi giorni dopo la morte del Presidente Mitterrand, le edizioni “Arthème Fayard” pubblicarono il libro “Le orecchie del Presidente” redatto dai due ricorrenti, libro che descriveva l’operatività delle intercettazioni all’interno dell’Eliseo.
G. M. depositò denuncia-querela e relativa costituzione di parte civile a carico dei Signori Dupuis e Pontaut con accuse di: ricettazione su documenti derivati da violazione di segreto professionale; violazione del segreto professionale; furto. Secondo G. M., 36 punti del libro scritto dai ricorrenti riproducevano i processi-verbali delle dichiarazioni rese al giudice istruttore mentre 4 allegati del libro erano rappresentati da “facsimili di ascolti” identici ai documenti agli atti del fascicolo della medesima procedura giudiziaria.
I ricorrenti sostennero di non avere ottenuto in modo illegale le loro informazioni e fecero valere in particolare la circostanza che molte persone ascoltate dal giudice avevano poi rivelato pubblicamente il tenore delle loro dichiarazioni.
Il 10 settembre 1998, il tribunale di seconda istanza di Parigi stabilì che sia i facsimili sia gli estratti dei processi-verbali provenivano dal fascicolo istruttorio cui non potevano avere accesso se non persone obbligate al segreto istruttorio o al segreto professionale. Il tribunale ritenne che i ricorrenti, giornalisti esperti, non potevano ignorare che tali documenti erano coperti dal segreto istruttorio o dal segreto professionale. Di conseguenza, lo stesso tribunale dichiarò i Signori Dupuis e Pontaut colpevoli del reato di violazione del segreto istruttorio o del segreto professionale e condannò ciascuno di essi ad una ammenda corrispondente ad Euro 762,25. Inoltre, il tribunale li condannò in solido a pagare a G. M. la somma di Euro 7.6222,50 per risarcimento danni, e dichiarò civilmente obbligata la “Librairie Arthème Fayard”. Il libro dei ricorrenti continuò ad essere pubblicato e nessuna copia fu sequestrata.
La Corte di Appello di Parigi confermò tale condanna il 16 giugno 1999.
Peraltro, la corte di cassazione rigettò il ricorso dei ricorrenti il 19 giugno 2001.
In novembre 2005, G. M. fu condannato a sei mesi di carcere con il beneficio della condizionale e ad una ammenda di Euro 5.000,00.
Motivi del presente ricorso.
Invocando gli articoli 10 (libertà di espressione) e 6, §2 (presunzione di innocenza), i ricorrenti denunciano la legittimità della loro condanna.
Decisione della Corte.
Articolo 10.
La Corte evidenzia come la condanna dei ricorrenti costituisce un’ingerenza nel loro diritto alla
libertà di espressione; che tale ingerenza era prevista dal codice penale francese avendo per legittimo scopo quello di proteggere il diritto di G. M. ad un processo equo nel rispetto della presunzione di innocenza.
In ordine al sapere se tale ingerenza era/è necessaria in una società democratica, la Corte osserva “in primis” che il tema del libro incriminato concerne un dibattito dal considerevole interesse pubblico.
Esso apportava un contributo a ciò che è definibile come un affare di Stato coinvolgente l’interesse pubblico; dava alcune informazioni e consentiva riflessioni trattandosi di personalità oggetto di intercettazioni telefoniche illegali, di condizioni in cui queste erano state realizzate, e di coloro che le avevano disposte.
E’ necessario peraltro constatare che la lista delle “2000 persone intercettate” comprendeva nomi di numerose personalità quanto meno mediatiche o mediatizzate.
La Corte rammenta in proposito che la Convenzione non consente quasi mai restrizioni alla libertà di espressione nell’ambito del discorso politico o di temi di interesse generale e che i limiti della critica consentita sono più ampi se riferiti ad un uomo politico, visto in questa qualità che ad un semplice privato cittadino. Pertanto, se G. M. – all’epoca dei fatti uno dei principali collaboratori del Presidente Mitterrand - non era egli stesso un uomo politico, presentava però tutte le caratteristiche di un uomo pubblico influente, manifestamente coinvolto nella vita politica e ciò al più alto livello del potere esecutivo.
D’altra parte, considerando che il libro dei ricorrenti, sull’esempio delle cronache giudiziarie, risponde ad una domanda concreta e diffusa del pubblico, oggi sempre più interessato a conoscere i congegni giudiziari nel vissuto quotidiano, la Corte ritiene che il pubblico aveva legittimo interesse ad essere informato e ad informarsi a tale processo nonché in particolare sui fatti riferiti nel libro. La Corte d’altronde ritiene opportuno insistere sull’importanza del ruolo dei mezzi di comunicazione mediatica nell’ambito della giustizia penale.
La Corte deve dunque stabilire se l’interesse ad informare il pubblico la conduce nella fattispecie “ai doveri e alle responsabilità” gravanti sui ricorrenti data la dubbia origine dei documenti che erano stati loro inviati. A tal riguardo, la Corte ritiene legittima la volontà di accordare particolare protezione al segreto istruttorio data la funzione del processo penale, sia per l’amministrazione della giustizia sia per il rispetto alla presunzione di innocenza delle persone sottoposte ad inchiesta. Tuttavia, in questa causa, al momento della pubblicazione del libro dei ricorrenti, a parte la vastissima conoscenza mediatica della vicenda soprannominata “gli ascolti dell’Eliseo”, era già di dominio pubblico che G. M. era stato posto sotto indagine per tale vicenda, nell’ambito di una inchiesta giudiziaria aperta dopo circa tre anni, che sfocerà nella sua condanna a pena carceraria con la condizionale più o meno dieci anni dopo la pubblicazione dell’opera. Inoltre il Governo – nelle circostanze della vicenda – non stabilisce in che cosa la diffusione di informazioni confidenziali avrebbe potuto influenzare negativamente sia il diritto di G. M. alla presunzione di innocenza, sia il suo processo e relativa condanna dopo circa dieci anni dalla pubblicazione. D’altronde, dopo l’uscita del libro contestato e durante la fase istruttoria, G. M. si è periodicamente espresso sulla vicenda attraverso numerosi articoli di stampa.
Sulla base di tali presupposti, la Corte ritiene che la protezione delle informazioni, in quanto confidenziali, non costituiva preponderante imperativo. La Corte si domanda peraltro se sussisteva ancora l’interesse a conservare la segretezza di informazioni il cui contenuto, almeno in parte, era stato reso pubblico ed era suscettibile di conoscenza da un gran numero di persone, vista la diffusione mediatica della vicenda, sia per i fatti in sé sia per la personalità di numerose vittime degli ascolti.
La Corte ritiene, del resto, che occorre valutare con la massima prudenza la necessità di punire, per reato di violazione del segreto istruttorio o di segreto professionale, dei giornalisti che partecipano ad un dibattito pubblico di tale importanza, e che esercitano inoltre la rispettiva missione di “cani da guardia” della democrazia. Emerge dalle prove non contestate fornite dai ricorrenti che essi hanno agito nel rispetto delle norme della professione giornalistica, nella misura in cui le pubblicazioni
contestate si avvalevano non solo dell’oggetto in sé della vicenda, ma anche della credibilità delle informazioni diffuse comprovando la loro precisione e autenticità. Infine, la Corte rammenta che un
attentato alla libertà di espressione può rischiare di avere un effetto dissuasivo all’esercizio di questa libertà, che la natura relativamente contenuta delle sanzioni, come nella fattispecie, non sarebbe sufficiente a far dissolvere.
In conclusione, la Corte ritiene che la condanna dei due ricorrenti si riassume in una abnorme ingerenza nel loro diritto alla libertà di espressione e che questa non era/non è necessaria in una società democratica. La Corte dichiara dunque violato l’articolo 10.
Articolo 6, § 2.
In considerazione del giudizio cui è pervenuta circa la violazione dell’articolo 10, la Corte ritiene non necessario esaminare separatamente le contestazioni sollevate ex articolo 6, § 2.
Parti: Dupuis e altri c/ Francia
Classificazione: Libertà - Art. 11 Libertà di espressione