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Giurisprudenza 74420/01 (04/02/2008)

Tipo: Sentenza di Grande Camera

Autorità: Autorità europee: Corte europea dei diritti umani

Data: 04/02/2008

Oggetto: La Corte, all’unanimità, ha concluso per la violazione dell’Articolo 6 § 1 (diritto a un equo processo) della Convenzione Europea dei Diritti Umani. Nell’invocare il suddetto Articolo 6 il ricorrente sosteneva che le autorità lituane lo avevano indotto a commettere un’infrazione che gli era valsa l’ingiusta imputazione di corruzione. Il ricorrente sosteneva altresì che, nel corso del processo, né il giudice né le parti avevano avuto modo di interrogare V.S. Il ricorrente ravvisava in ciò una violazione del principio di eguaglianza dei mezzi e dei diritti di difesa. Articolo 6 § 1 La Corte ritiene che le autorità lituane non possono ritenersi esonerate da responsabilità per i comportamenti dei poliziotti, limitandosi a dire che costoro – pur avendo compiuto atti di polizia – avrebbero agito “a titolo privato”. La responsabilità delle suddette autorità lituane s’impone, tanto più che la fase iniziale delle operazioni era stata condotta al di fuori di ogni ambito legale e nell’assenza di ogni legittimazione giudiziaria. Inoltre, autorizzando V.S. e A. Z. al compimento di atti corruttivi simulati ed esonerando quest’ ultimo da ogni responsabilità penale, le autorità lituane hanno ratificato la fase preliminare “ex post facto” e tratto vantaggio dalle sue risultanze. D’ altronde, nessuna spiegazione soddisfacente è stata fornita circa le ragioni e i motivi personali che avrebbero indotto A. Z. ad avvicinare di sua iniziativa il ricorrente, senza informarne i propri superiori; così come alcuna sufficiente giustificazione è stata data sul fatto che A. Z. non è stato perseguito per gli atti compiuti fuori di tale fase preliminare. In ordine a questo specifico punto, il Governo lituano si è accontentato di rinviare alla circostanza che tutti i documenti relativi alle vicende erano stati distrutti. La Corte ne deduce che i fatti oggetto della vertenza sono imputabili alle autorità lituane. Le azioni compiute da A. Z. e V. S. hanno oltrepassato il limite di un normale, passivo esame dell’attività delittuosa riscontrata, dato che il fascicolo di causa non evidenzia alcuna prova di violazioni compiute in altro tempo dal ricorrente, soprattutto in tema di illeciti per corruzione; mentre vi é prova che tutti gli incontri tra il ricorrente e A. Z. si sono svolti dietro iniziativa di quest’ ultimo, e che il ricorrente sembra essere stato insistentemente costretto da V. S. e A. Z. a dedicarsi ad una attività criminale, che alcun elemento oggettivo lasciava supporre egli avesse intravista come tale. La Corte rileva che il ricorrente, in tutto il corso del procedimento, ha insistito sul fatto che egli era stato sollecitato a commettere l’infrazione imputatagli. Per conseguenza, le autorità e i giudici lituani avrebbero dovuto, per lo meno, esaminare in maniera approfondita il problema inerente il coinvolgimento delle autorità investigative nel provare o meno il compimento di un atto criminale. A tal fine, tali autorità avrebbero dovuto verificare soprattutto le ragioni per le quali il progetto criminoso era stato organizzato, il perimetro partecipativo della polizia alle violazioni nonché la natura della induzione o delle pressioni esercitate sul ricorrente. Questo era particolarmente decisivo valutare considerato che V. S. non era stato mai chiamato a testimoniare, nella fattispecie perché mai sanata la sua irreperibilità. Su ognuna di tali circostanze, il ricorrente avrebbe dovuto essere ascoltato per una sua compiuta difesa. Orbene, le autorità amministrative statali hanno negato ogni provocazione da parte della polizia mentre sul piano giudiziario non hanno adottato alcuna iniziativa per esaminare seriamente le deduzioni svolte al riguardo dal ricorrente. Più in particolare, le autorità non hanno minimamente tentato di chiarire il ruolo svolto dai protagonisti, sebbene la condanna del ricorrente si basasse sugli elementi di prova raccolti per effetto della istigazione di polizia denunciata dal ricorrente. La Corte sottolinea che la Corte Suprema aveva concluso stabilendo il principio secondo cui, una volta accertata la colpevolezza del ricorrente, sapere se fattori esterni erano stati in grado di influenzare la sua determinazione a commettere infrazioni non aveva più alcuna pertinenza ai fini della causa. Quindi, la confessione di avere commesso un illecito cui si è stati indotti, non può far scomparire né l’induzione al reato medesimo né gli effetti a questo connessi. La Corte ritiene che i comportamenti di A. Z. e V. S. hanno provocato l’induzione del ricorrente a commettere il reato per cui è stato condannato mentre nulla prova che, senza il loro ruolo, il reato sarebbe stato commesso. Pertanto, vi è stata violazione dell’ Articolo 6 § 1 della Convenzione Europea dei Diritti Umani. Articolo 6 § 3 d) La Corte non ritiene necessario valutare autonomamente - in relazione all’Articolo 6 § 3 d) della Convenzione Europea dei Diritti Umani – il motivo di ricorso attinente il carattere non equo del suo processo.

Parti: Ramanauskas c/ Lituania

Classificazione: Giustizia - Art. 47 Processo equo, pubblico