SENTENZA
N. 56
ANNO
2009
REPUBBLICA
ITALIANA
IN
NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA
CORTE COSTITUZIONALE
composta
dai signori:
-
Francesco
AMIRANTE
Presidente
-
Ugo
DE SIERVO
Giudice
ha
pronunciato la seguente
SENTENZA
nel
giudizio di legittimità costituzionale del combinato disposto
dell'art. 1 del decreto-legge 21 giugno 1961, n. 498 (Norme
per la sistemazione di talune situazioni dipendenti da mancato
o irregolare funzionamento degli Uffici finanziari),
convertito, con modificazioni, dalla legge 28 luglio 1961, n.
770, quale sostituito dall'art. 1 della legge 25 ottobre 1985,
n. 592 (Modifiche alle norme sulla proroga dei termini di
prescrizione e di decadenza per il mancato o irregolare
funzionamento degli uffici finanziari), e dell'art. 3 del
medesimo decreto-legge n. 498 del 1961, quale sostituito
dall'art. 33 della legge 18 febbraio 1999, n. 28 (Disposizioni
in materia tributaria, di funzionamento dell'Amministrazione
finanziaria e di revisione generale del catasto), promosso con
ordinanza del 25 gennaio 2008 dalla Corte di cassazione nel
giudizio vertente tra Riccardo Ortenzi, il Ministero delle
finanze e l'Agenzia delle entrate, iscritta al n. 142 del
registro ordinanze 2008 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
della Repubblica n. 20, prima serie speciale, dell'anno
2008.
Visti l'atto
di costituzione di Riccardo Ortenzi nonché l'atto di
intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
udito
nell'udienza pubblica del 27 gennaio 2009 il Giudice relatore
Franco Gallo;
uditi
l'avvocato Maurizio Trevisan per Riccardo Ortenzi e
l'avvocato dello Stato Antonio Palatiello per il Presidente
del Consiglio dei ministri.
Ritenuto
in fatto
1. – Nel
corso di un giudizio avente ad oggetto l'impugnazione della
sentenza con cui la Commissione tributaria regionale
del Lazio, in accoglimento dell'appello proposto nel luglio
del 2000 dall'Agenzia delle entrate, aveva dichiarato
tempestivo tale appello e legittimo un avviso di accertamento
dell'ILOR relativa all'anno 1991, la Corte di
cassazione civile, con ordinanza n. 1603, depositata il 25
gennaio 2008, ha sollevato, in
riferimento agli artt. 24 e 111, secondo comma, della
Costituzione, questioni di legittimità costituzionale del
«coordinato disposto» degli artt. «1 e 2 della legge 592/1985
(e successive modificazioni)» [recte: dell'art. 1 del
decreto-legge 21 giugno 1961, n. 498 (Norme per la
sistemazione di talune situazioni dipendenti da mancato o
irregolare funzionamento degli Uffici finanziari), convertito,
con modificazioni, dalla legge 28 luglio 1961, n. 770, quale
sostituito dall'art. 1 della legge 25 ottobre 1985, n. 592
(Modifiche alle norme sulla proroga dei termini di
prescrizione e di decadenza per il mancato o irregolare
funzionamento degli uffici finanziari), nonché dell'art. 3 del
medesimo decreto-legge n. 498 del 1961, quale sostituito
dall'art. 33 della legge 18 febbraio 1999, n. 28 (Disposizioni
in materia tributaria, di funzionamento dell'Amministrazione
finanziaria e di revisione generale del catasto)], in quanto
consentono al competente direttore generale, regionale o
compartimentale, dell'amministrazione finanziaria di
prorogare, a favore dell'ufficio tributario, i termini per
proporre appello avverso le sentenze emesse da giudici
tributari.
1.1. – Il
giudice rimettente premette, in punto di fatto, che: a) il
contribuente appellato aveva eccepito davanti alla Commissione
tributaria regionale che l'appello proposto dall'ufficio
finanziario avverso la sentenza di primo grado era tardivo,
perché gli era stato notificato oltre i termini di legge; b)
il giudice di appello aveva respinto tale eccezione,
affermando che l'ufficio tributario era stato «rimesso nei
termini, ai sensi della legge 25 ottobre 1985, n. 592 ed in
applicazione del disposto del decreto della Direzione
Regionale per il Lazio del 1° settembre 2000 (pubblicato, in
data 12 settembre 2000, nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica italiana – serie speciale [recte: generale] n.
213)»; c) la suddetta proroga dei termini era stata disposta
«a séguito di eventi “riconducibili a disfunzioni
organizzative dell'amministrazione
finanziaria”».
1.2. – Lo
stesso giudice rimettente premette altresí, in punto di
diritto, che la sopra indicata proroga dei termini è disposta:
a) «anche in relazione ai termini processuali», come ritenuto
dal diritto vivente; b) per qualunque evento di carattere
eccezionale che impedisca il regolare funzionamento degli
uffici finanziari, anche se riconducibile a disfunzioni
organizzative dell'amministrazione finanziaria, come
desumibile dal testo dell'art. 1 del decreto-legge n. 498 del
1961, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 770 del
1961, introdotto dall'art. 1 della legge n. 592 del 1985 ed
applicabile ratione
temporis alla fattispecie di causa; c) «da un soggetto che
è istituzionalmente parte in una rilevante porzione di
processi; mentre la proroga dei termini processuali civili e
penali prevista (su presupposti e con effetti ben più
circoscritti) dal d.lgs. n. 437/1948 è disposta dal Ministro
della giustizia, che solo in via eccezionale può esser parte
processuale».
1.3. – In
ordine alla non manifesta infondatezza delle sollevate
questioni, il giudice a
quo afferma, in primo luogo, che le disposizioni censurate
violano il «principio di parità delle parti» ed il «principio
del contraddittorio» di cui all'art. 111, secondo comma,
Cost., perché: a) nel processo, la prevalenza delle tesi
sostenute da una delle parti – cioè, nella specie,
dall'amministrazione finanziaria, la quale mostra una
«sovrapposizione della qualità di parte con quella di organo
destinato ad accertare eventi di “carattere eccezionale”
destinati a riflettersi nel processo e quindi a giovare al
decidente» – «deve essere mediata dall'intervento del giudice
terzo che decide nel contraddittorio (quanto meno potenziale)»
delle parti medesime: mediazione, questa, non realizzatasi nel
caso concreto; b) la proroga dei termini, potendo essere
disposta anche «a séguito di eventi “riconducibili a
disfunzioni organizzative dell'amministrazione finanziaria”»
stessa, consente «alla Amministrazione (e solo ad essa) di
giovarsi della propria disorganizzazione». In proposito, il
rimettente osserva che «Il contrasto con il principio di
parità delle parti e con quello del contraddittorio non viene
[…] meno per il fatto che le proroghe in questione operino
anche a vantaggio del contribuente […], in quanto simile
“parità degli effetti” può elidere il contrasto con l'art. 3
Cost., ma non quello con il (sopravvenuto) testo dell'art. 111
Cost.».
Sempre per
il giudice a quo,
le disposizioni denunciate violano, in secondo luogo, il
principio della «ragionevole durata del processo» di cui
all'art. 111, secondo comma, Cost., perché detto principio,
«così come inteso dalla Corte europea dei diritti dell'uomo»,
non permette che nel processo si verifichino «ritardi
derivanti da disfunzioni dell'apparato pubblico».
Il
rimettente deduce, infine, che le medesime disposizioni
denunciate violano l'art. 24 Cost., perché «il potere di
determinare la proroga dei [termini] processuali fa capo ad un
soggetto che ha come proprio compito istituzionale esser parte
del processo», cioè, per quanto attiene alla vicenda in esame,
la «competente direzione regionale» del Lazio, ossia il
soggetto che «ha provveduto ad autorizzare l'appello ai sensi
dell'art. 52 del d.lgs. n. 546/1992». Il medesimo rimettente
precisa, al riguardo, che «nessuna garanzia per la difesa
delle controparti […] rappresenta l'intervento del parere non
vincolante del Garante del contribuente».
1.4. –
Quanto alla rilevanza, il giudice a quo osserva che «la
caducazione delle disposizioni investite dalla eccezione di
illegittimità costituzionale priverebbe di supporto
legislativo il decreto della Direzione regionale per il Lazio
del primo settembre 2000» con il quale è stata disposta la
proroga dei termini di cui, nella fattispecie, si è giovata
l'amministrazione per proporre appello e, pertanto,
«risulterebbe inammissibile per tardività l'appello proposto
dalla Amministrazione» finanziaria.
2. – Si è
costituito il contribuente, ricorrente per cassazione nel
giudizio principale, il quale, riportandosi alle
argomentazioni svolte dall'ordinanza di rimessione, insiste
per l'accoglimento delle sollevate eccezioni di legittimità
costituzionale. Secondo l'interveniente, gli artt. «1 e 2
della legge n. 592 del 1985» violano, oltre ai parametri
evocati dal giudice rimettente, anche l'art. 3 Cost., perché
la parte privata del processo tributario non ha un potere di
proroga dei termini analogo a quello riconosciuto dalle
disposizioni denunciate all'amministrazione finanziaria,
dovendo detta parte «comunque rispettare i termini senza
alcuna possibilità di chiederne e tanto meno di stabilirne la
sospensione e la proroga».
3. – È
intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri,
rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato,
il quale ha chiesto che le questioni siano dichiarate in parte
inammissibili o comunque, nel merito,
infondate.
3.1. – La
difesa erariale osserva, preliminarmente, che la questione di
legittimità costituzionale sollevata in riferimento all'art.
111, secondo comma, Cost. e basata sull'assunto che, in forza
delle disposizioni denunciate, l'amministrazione finanziaria
potrebbe “giovarsi della propria disorganizzazione” è
inammissibile, perché il rimettente considera «come meramente
eventuali, e dunque non accertati, i fatti dati come
presupposto logico del ragionamento», e cioè che, nel caso di
specie, la proroga sia effettivamente «dipesa da circostanze
imputabili all'Amministrazione o alla sua
“disorganizzazione”».
3.2. – Nel
merito, la medesima difesa erariale – richiamando la sentenza
della Corte costituzionale n. 177 del 1992 e le sentenze della
Corte di cassazione civile n. 1609 del 2008 e n. 11137 del
2006 – afferma che le questioni sollevate in riferimento
all'art. 24 Cost. ed al principio di “parità delle parti” in
giudizio di cui all'art. 111, secondo comma, Cost. sono
comunque infondate, perché: a) «dagli atti parlamentari
relativi alla legge costituzionale n. 2 del 1999, modificativa
dell'art. 111 della Costituzione, emerge che il principio
della “parità delle parti” attiene non ai poteri delle stesse,
bensí al riconoscimento del “medesimo diritto alla prova”» in
giudizio, diritto che è «ampiamente riconosciuto nell'àmbito
del processo tributario»; b) «la proroga dei termini scadenti
nel periodo anomalo, disposta dal legislatore, siccome
relativa anche a quelli afferenti ad “adempimento di
obbligazioni e di formalità”, esplica i suoi effetti sia a
favore dell'ufficio che del contribuente, per cui durante lo
stesso, e sino alla sua scadenza, non si verificano decadenze
e/o prescrizioni né ritardi (forieri questi di sanzioni e di
interessi) per nessuna di tali parti»; c) il decreto di
proroga dei termini può comunque essere disapplicato in via
incidentale dal giudice e, pertanto, nei confronti di tale
atto «c'è […] la piena tutela, come a fronte di qualsiasi
altro atto amministrativo».
Quanto
alla dedotta violazione del principio della “ragionevole
durata del processo”, l'Avvocatura generale dello Stato
esclude che abbia effetti meramente dilatori l'esercizio del
«potere riconosciuto all'Amministrazione finanziaria di
prorogare i termini processuali al ricorrere di eventi
oggettivi di carattere eccezionale che ridondano in favore di
tutte le parti».
Considerato
in diritto
1. –
La
Corte di cassazione dubita, in riferimento
agli artt. 24 e 111, secondo comma, della Costituzione, della
legittimità del «coordinato disposto» degli artt. «1 e 2 della
legge 592/1985 (e successive modificazioni)», in quanto
consente al competente direttore generale, regionale o
compartimentale, dell'amministrazione finanziaria di
prorogare, a favore di tale amministrazione, i termini per
proporre impugnazione avverso le sentenze dal giudice
tributario.
2. – Al
fine di individuare le norme che il rimettente, al di là di
ogni imprecisione nella loro indicazione, ha effettivamente
inteso denunciare, occorre preliminarmente procedere alla
ricostruzione del complessivo quadro normativo in cui si
collocano le sollevate questioni e successivamente, alla luce
di tale ricostruzione, valutare il significato delle
espressioni utilizzate nell'ordinanza di
rimessione.
2.1. –
L'art. 1 del decreto-legge 21 giugno 1961, n. 498 (Norme per
la sistemazione di talune situazioni dipendenti da mancato o
irregolare funzionamento degli Uffici finanziari), convertito,
con modificazioni, dalla legge 28 luglio 1961, n. 770 – nel
testo sostituito dall'art. 1 della legge 25 ottobre 1985, n.
592 (Modifiche alle norme sulla proroga dei termini di
prescrizione e di decadenza per il mancato o irregolare
funzionamento degli uffici finanziari) e rimasto in vigore dal
5 novembre 1985 al 19 marzo 2001 – stabilisce che: «Qualora
gli uffici finanziari non siano in grado di funzionare
regolarmente a causa di eventi di carattere eccezionale, i
termini di prescrizione e di decadenza nonché quelli di
adempimento di obbligazioni e di formalità previsti dalle
norme riguardanti le imposte e le tasse a favore dell'erario,
scadenti durante il periodo di mancato o irregolare
funzionamento, sono prorogati fino al decimo giorno successivo
alla data in cui viene pubblicato nella Gazzetta Ufficiale il
decreto di cui all'art. 3» del medesimo decreto-legge. Questa
formulazione dell'art. 1 del decreto-legge n. 498 del 1961 è
stata successivamente modificata, a decorrere dal 20 marzo
2001, dall'art. 10, comma 1, lettera a), del decreto
legislativo 26 gennaio 2001, n. 32 (Disposizioni correttive di leggi
tributarie vigenti, a norma dell'articolo 16 della legge 27
luglio 2000, n. 212, concernente lo statuto dei diritti del
contribuente), secondo il quale gli «eventi di
carattere eccezionale» di cui al menzionato art. 1 del
decreto-legge n. 498 del 1961, al fine di consentire
l'emanazione del decreto di proroga dei termini, debbono
essere «non riconducibili a disfunzioni organizzative
dell'amministrazione finanziaria».
L'art. 3
del citato decreto-legge n. 498 del 1961 – nel testo
sostituito dall'art. 2 della legge n. 592 del 1985, rimasto in
vigore dal 5 novembre 1985 all'8 marzo 1999 – stabilisce che:
a) «L'intendente di finanza territorialmente competente deve
trasmettere, entro e non oltre quindici giorni dalla data di
cessazione degli eventi eccezionali, alla Direzione generale
da cui dipendono gli uffici che non hanno funzionato
regolarmente, motivata proposta circa le misure da adottare»
(comma 1, primo periodo); b) «Qualora l'irregolare
funzionamento si verifichi presso uffici che dipendono
direttamente dalle Direzioni generali, ai predetti adempimenti
provvedono i titolari degli uffici interessati» (comma 1,
secondo periodo); c) «Il periodo di mancato o irregolare
funzionamento degli uffici finanziari è accertato con decreto
del Ministro delle finanze da pubblicarsi nella Gazzetta
Ufficiale entro e non oltre il sessantesimo giorno dalla
scadenza del periodo di mancato o irregolare funzionamento»
(comma 2). Tale testo dell'art. 3 del decreto-legge n. 498 del
1961 è stato successivamente sostituito dall'art. 33 della
legge 18 febbraio 1999, n. 28 (Disposizioni in materia
tributaria, di funzionamento dell'Amministrazione finanziaria
e di revisione generale del catasto), rimasto in vigore dal 9
marzo 1999 al 19 marzo 2001. In
questa nuova formulazione, il menzionato art. 3 del
decreto-legge n. 498 del 1961 stabilisce che: a) «Il periodo
di mancato o irregolare funzionamento degli uffici finanziari
è accertato con decreto del competente direttore generale,
regionale o compartimentale da pubblicare nella Gazzetta
Ufficiale entro quarantacinque giorni dalla scadenza del
periodo di mancato o irregolare funzionamento» (comma unico,
primo periodo); b) «Ove tale periodo si protragga oltre
quindici giorni, la data a partire dalla quale esso ha avuto
inizio è fatta risultare con decreto adottato dai predetti
organi da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale entro
quarantacinque giorni dalla data medesima» (comma unico,
secondo periodo). Lo stesso art. 3 del decreto-legge n. 498
del 1961 è stato poi parzialmente modificato, a decorrere dal
20 marzo 2001, dall'art. 10, comma 1, lettera b), del decreto
legislativo n. 32 del 2001, il quale ha sostituito con il
seguente l'originario primo periodo dell'unico comma
dell'articolo: «Fermo quanto
previsto dall'articolo 9, comma 2, della legge 27 luglio 2000,
n. 212» [e cioè ferma restando la possibilità che, con proprio
decreto, il Ministro delle finanze, sentito il Ministro del
tesoro, del bilancio e della programmazione economica, possa
sospendere o differire il termine per l'adempimento degli
obblighi tributari a favore dei contribuenti interessati da
eventi eccezionali ed imprevedibili], «il periodo di mancato o
irregolare funzionamento di singoli uffici finanziari è
accertato con decreto del direttore del competente ufficio di
vertice dell'agenzia fiscale interessata, sentito il Garante
del contribuente, da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale entro
quarantacinque giorni dalla scadenza del periodo di mancato o
irregolare funzionamento».
2.2. – Con
l'ordinanza di rimessione vengono testualmente denunciati,
come sopra ricordato, gli articoli «1 e 2 della legge 592/1985
(e successive modificazioni)». Nella medesima ordinanza si
riferisce, poi, che l'appello in esito al quale è stata emessa
la sentenza impugnata per cassazione deve considerarsi
tempestivo esclusivamente per effetto del decreto della
Direzione regionale delle entrate per il Lazio, emesso – ai
sensi delle denunciate disposizioni – in data 1° settembre
2000 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale
della Repubblica italiana n. 213, serie generale, del 12
settembre 2000.
Dall'inserimento di tali indicazioni normative e
temporali nel quadro normativo sopra ricostruito, appare
evidente che: a) il richiamo dell'art. 1 della legge n. 592
del 1985 «e successive modificazioni» vale soltanto ad
individuare l'art. 1 del decreto-legge n. 498 del 1961, quale
sostituito dall'art. 1 della legge n. 592 del 1985 (in vigore
dal 5 novembre 1985 al 19 marzo 2001 e, pertanto, applicabile
al caso di specie) e non quale ulteriormente modificato
dall'art. 10, comma 1, lettera a), del decreto
legislativo n. 32 del 2001 (in vigore dal 20 marzo 2001 e,
perciò, non applicabile ratione temporis alla
fattispecie esaminata nel giudizio principale); b) il richiamo
dell'art. 2 della legge n. 592 del 1985 «e successive
modificazioni» vale, in realtà, ad individuare soltanto l'art.
3 del citato decreto-legge n. 498 del 1961, quale sostituito
non già dal testualmente richiamato art. 2 della legge n. 592
del 1985 (in vigore dal 5 novembre 1985 all'8 marzo 1999 e,
pertanto, non applicabile ratione temporis alla
fattispecie oggetto del giudizio principale) e neppure
dall'art. 10, comma 1, lettera b), del decreto
legislativo n. 32 del 2001 (in vigore dal 20 marzo 2001 e,
perciò, anch'esso non applicabile ratione temporis), ma
dall'art. 33 della legge n. 28 del 1999 (in vigore dal 9 marzo
1999 al 19 marzo 2001, sola norma applicabile al caso di
specie), che ha attribuito al «direttore generale, regionale o
compartimentale» il potere di emanare il decreto accertativo
del mancato o irregolare funzionamento degli uffici finanziari
ed alla cui competenza fanno espresso riferimento le censure
formulate nell'ordinanza di rimessione. Non ha, perciò,
importanza né che gli artt. 1 e 2 della legge n. 592 del 1985,
formalmente denunciati, si limitino a sostituire,
rispettivamente, gli artt. 1 e 3 del decreto-legge n. 498 del
1961, né che l'art. 33 della legge n. 28 del 1999 non
costituisca una “successiva modificazione” del citato art. 2
della legge n. 592 del 1985, ma una ulteriore modificazione
dell'art. 3 del decreto-legge n. 498 del 1961. Quel che rileva
è, invece, la chiara intenzione del rimettente di censurare le
norme, applicabili ratione temporis alla
fattispecie, che attribuiscono al competente direttore
generale, regionale o compartimentale, dell'amministrazione
finanziaria il potere di prorogare, a favore di tale
amministrazione, i termini per proporre impugnazione avverso
le sentenze del giudice tributario.
2.3. – Il
rimettente ha, dunque, inteso denunciare, al di là della
formulazione testuale dell'ordinanza di rimessione, il
combinato disposto: a) dell'art. 1 del decreto-legge n. 498
del 1961, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 770
del 1961, quale sostituito dall'art. 1 della legge n. 592 del
1985; b) dell'art. 3 del medesimo decreto-legge n. 498 del
1961, quale sostituito dall'art. 33 della legge n. 28 del
1999.
3. – In
punto di non manifesta infondatezza delle questioni, il
giudice a quo
afferma che le disposizioni denunciate violano l'art. 111,
secondo comma, Cost. sotto un duplice profilo, in quanto si
pongono in contrasto: a) in primo luogo, con il «principio di
parità delle parti» e con il «principio del contraddittorio»,
sia perché (a.1.) la prevalenza nel processo delle tesi
sostenute da una delle parti – nella specie,
dall'amministrazione finanziaria – «deve essere mediata
dall'intervento del giudice terzo che decide nel
contraddittorio (quanto meno potenziale)» delle parti,
mediazione che non è avvenuta nel caso concreto a causa della
«sovrapposizione della qualità di parte con quella di organo
destinato ad accertare eventi di “carattere eccezionale”
destinati a riflettersi nel processo e quindi a giovare al
decidente» la proroga; sia perché (a.2.) la suddetta proroga
dei termini può essere disposta anche «a séguito di eventi
“riconducibili a disfunzioni organizzative
dell'amministrazione finanziaria”» e, pertanto, consente «alla
Amministrazione (e solo ad essa) di giovarsi della propria
disorganizzazione»; b) in secondo luogo, con il principio
della «ragionevole durata del processo», perché tale
principio, «così come inteso dalla Corte europea dei diritti
dell'uomo», non permette che nel processo si verifichino
«ritardi derivanti da disfunzioni dell'apparato
pubblico».
Il giudice
rimettente afferma che le disposizioni denunciate violano,
altresí, l'art. 24 Cost., perché «il potere di determinare la
proroga dei [termini] processuali fa capo ad un soggetto che
ha come proprio compito istituzionale esser parte del
processo», cioè, nella specie, la «competente direzione
regionale», che «ha provveduto ad autorizzare l'appello ai
sensi dell'art. 52 del d.lgs. n.
546/1992».
4. – Così
definito dal rimettente il thema decidendum, deve
qui precisarsi che l'oggetto del giudizio di costituzionalità
in via incidentale è «limitato alle norme ed ai parametri
indicati nelle ordinanze di rimessione, poiché, secondo la
consolidata giurisprudenza di questa Corte, non possono essere
presi in considerazione, oltre i limiti in queste fissate,
ulteriori questioni o profili di costituzionalità dedotti
dalle parti, sia che siano stati eccepiti ma non fatti propri
dal giudice a quo,
sia che siano diretti ad ampliare o modificare successivamente
il contenuto delle stesse ordinanze» (ex pluribus, sentenza
n. 86 del 2008; ordinanza n. 174 del 2003). Non possono,
pertanto, essere esaminate nel presente giudizio le ulteriori
questioni di costituzionalità formulate dalla parte privata,
in riferimento all'art. 3 Cost., nel proprio atto di
costituzione.
5. – In
via preliminare, la difesa erariale ha eccepito
l'inammissibilità per difetto di rilevanza della questione di
legittimità costituzionale sollevata in riferimento all'art.
111, secondo comma, Cost. e basata sull'assunto che, in forza
delle disposizioni denunciate, l'Amministrazione potrebbe
“giovarsi della propria disorganizzazione”. Il difetto di
rilevanza deriva, secondo l'Avvocatura generale dello Stato,
dal fatto che il rimettente considera non accertata e
meramente eventuale l'imputazione all'amministrazione
finanziaria del mancato o irregolare funzionamento degli
uffici posto a fondamento della proroga.
L'eccezione non è fondata.
Contrariamente a quanto affermato dalla difesa
erariale, la rilevanza sussiste, perché il giudice a quo dà per pacifico
in giudizio il fatto che la proroga sia stata disposta per
fatti addebitabili alla pubblica amministrazione. Il
rimettente muove, infatti, dalla esplicita premessa che, «in
base a quanto dedotto dal [contribuente] sig. Ortensi [recte: Ortenzi] sia
avanti al giudice di appello sia nel ricorso per cassazione»,
la proroga dei termini è stata disposta «a séguito di eventi
“riconducibili a disfunzioni organizzative
dell'amministrazione finanziaria”». Ed è proprio in forza di
tale premessa che lo stesso rimettente afferma che: a) la
caducazione del denunciato art. 1 del decreto-legge n. 498 del
1961 «priverebbe di supporto legislativo il decreto della
Direzione regionale per il Lazio del primo settembre 2000»,
con il quale è stata disposta la proroga dei termini di cui si
è giovata l'amministrazione per notificare utilmente l'atto di
appello al ricorrente; b) di conseguenza, nel caso di
accoglimento della questione di legittimità sollevata,
«risulterebbe inammissibile per tardività l'appello proposto
dalla Amministrazione» medesima.
6. – Le
questioni di legittimità costituzionale del combinato disposto
degli artt. 1 e 3 del decreto-legge n. 498 del 1961, poste con
riferimento all'art. 24 Cost. ed ai princípi di parità delle
parti e del contraddittorio nel processo stabiliti dal primo
periodo del secondo comma dell'art. 111 Cost., non sono
fondate.
6.1. – Al
riguardo, va preliminarmente rilevato che l'ordinanza di
rimessione deve interpretarsi nel senso che le censure fondate
sulla violazione dell'art. 24 Cost. si identificano
sostanzialmente con quelle basate sulla violazione
dell'evocato primo periodo del secondo comma dell'art. 111
Cost., relative alla parità ed al contraddittorio delle parti
nel processo. Tali censure, infatti, si risolvono tutte nel
rilievo che le norme denunciate comporterebbero una
illegittima «sovrapposizione della qualità di parte con quella
di organo destinato ad accertare eventi di “carattere
eccezionale” destinati a riflettersi nel processo», inteso il
termine “parte” nell'accezione di “parte del rapporto
tributario” e non di parte processuale. Il rimettente, nel
denunciare detta «sovrapposizione», ha inteso soltanto
sottolineare che il potere di proroga dei termini processuali
attribuito all'amministrazione finanziaria quale parte del
rapporto impositivo si risolve in una menomazione dei diritti
di difesa del contribuente nel processo. In particolare,
secondo il giudice a
quo, la direzione regionale competente ad emettere il
suddetto decreto di proroga, pur non essendo (ai sensi
dell'art. 10 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546,
recante «Disposizioni sul processo tributario in attuazione
della delega al Governo contenuta nell'art. 30 della legge 30
dicembre 1991, n. 413») parte del processo che pende con il
contribuente, è pur sempre un organo dell'amministrazione
finanziaria e, perciò, della parte pubblica del rapporto
tributario. Ne consegue, ad avviso dello stesso giudice a quo, che, per
effetto delle norme denunciate, il contribuente viene
irragionevolmente a trovarsi in posizione di svantaggio
rispetto alla controparte processuale costituita dall'ufficio
finanziario periferico che ha emanato l'atto impugnato, in
quanto tale ufficio può giovarsi in giudizio della propria
contiguità con un suo superiore gerarchico formalmente
estraneo al processo, cioè la direzione regionale delle
entrate, che è, appunto, competente a disporre la proroga dei
termini processuali.
Cosí
interpretate, le censure del rimettente evocano congiuntamente
a parametro gli artt. 24 e 111, secondo comma, primo periodo,
Cost. e, pertanto, non mettono a confronto la posizione
processuale del contribuente con quella della direzione
regionale delle entrate e, quindi, non muovono dall'errato
presupposto che tale direzione sia parte del processo
pendente, ma attengono solo alla lesione del diritto del
contribuente ad apprestare le proprie difese nei confronti
della controparte sostanziale, rappresentata
dall'amministrazione finanziaria complessivamente
intesa.
6.2. – Ciò
posto, nel merito delle suddette questioni va ricordato che
questa Corte, chiamata a pronunciarsi – con riferimento
all'art. 3, primo comma, Cost. – sulla legittimità degli artt.
1 e 3 del decreto-legge n. 498 del 1961, nel testo in vigore
prima delle modificazioni apportate con la legge n. 592 del
1985,
ha già affermato (sentenza n. 177 del
1992; ordinanza n. 459 del 1992) che: a) «la circostanza che
al riscontro del presupposto di fatto da cui discende la
proroga dei termini sia preposta una delle parti del rapporto
tributario [e cioè l'amministrazione finanziaria] non vulnera
il principio di eguaglianza di cui all'art. 3 della
Costituzione sia perché si tratta di attività accertativa, sia
perché l'interesse dell'Amministrazione al regolare
accertamento e riscossione delle imposte ha carattere di
specialità e natura di valore primario, in quanto connesso al
generale dovere di solidarietà dei singoli di concorrere alle
spese pubbliche (art. 53 della Costituzione)»; b) la
previsione di un tale potere di proroga «non determina uno
sbilanciamento della norma in favore dell'amministrazione
finanziaria, atteso che la proroga riguarda non solo i termini
afferenti all'azione di accertamento o di riscossione
dell'Amministrazione medesima, ma anche i termini di
adempimento delle obbligazioni tributarie dei contribuenti e
di altre prescrizioni a carattere formale poste a carico degli
stessi»; c) qualora l'amministrazione finanziaria facesse,
comunque, cattivo esercizio del potere di cui agli artt. 1 e 3
del decreto-legge n. 498 del 1961, il decreto emesso sarebbe
«affetto da vizio di eccesso di potere per sviamento dalla
causa» e, perciò, incidentalmente sindacabile dal giudice
ordinario o tributario, con possibile disapplicazione
dell'atto medesimo.
6.3. –
Questo stesso impianto argomentativo è adottato anche dalla
Corte di cassazione civile, nell'interpretazione dei medesimi
artt. 1 e 3 del decreto-legge n. 498 del 1961. La Corte di
legittimità, con pronunce costituenti – per numero ed
uniformità – diritto vivente, ha infatti ritenuto che: a) la
proroga prevista da dette disposizioni opera a favore sia
dell'amministrazione finanziaria che dei contribuenti (ex plurimis, sentenze
n. 11456 del 2005 e n. 767 del 1998); b) il decreto di proroga
dei termini costituisce un atto amministrativo «meramente
ricognitivo delle circostanze di fatto (mancato o irregolare
funzionamento degli uffici a causa di eventi eccezionali)» al
cui verificarsi la legge ricollega la proroga (ex plurimis, sentenze
n. 1609 del 2008; n. 11456 del 2005; n. 3140 del 1992; n. 7077
del 1991); c) tale decreto è incidentalmente sindacabile dal
giudice ordinario o tributario, il quale può disapplicarlo ove
ne accerti l'invalidità, in relazione ad ogni possibile vizio
dell'atto, «compreso quello di eccesso di potere» e con il
solo limite «dell'impossibilità di riesame e di censura delle
valutazioni di merito compiute da un organo della P.A.» (ex plurimis, sentenze
n. 1609 del 2008; n. 10271 del 2007; n. 9441 del
2005).
6.4. –
Alla luce di tale univoca interpretazione, è evidente che le
disposizioni denunciate non violano i suddetti evocati
parametri costituzionali.
6.4.1. –
In proposito, va rilevata in via preliminare l'inesattezza
dell'affermazione del giudice a quo, secondo cui «il
contrasto con il principio di parità delle parti e con quello
del contraddittorio non viene […] meno per il fatto che le
proroghe in questione operino anche a vantaggio del
contribuente […], in quanto simile “parità degli effetti” può
elidere il contrasto con l'art. 3 Cost., ma non quello con il
(sopravvenuto) testo dell'art. 111 Cost.». Tale affermazione
si basa sulla erronea premessa interpretativa secondo cui il
principio di parità delle parti ed il principio del
contraddittorio di cui all'art. 111, secondo comma, primo
periodo, Cost. – e cioè princípi che costituiscono elementi
caratterizzanti il cosiddetto “giusto processo” – abbiano, a
séguito dell'entrata in vigore della legge costituzionale 23
novembre 1999, n. 2 (Inserimento dei princípi del giusto
processo nell'articolo 111 della Costituzione), una portata
più ampia di quella desumibile, in precedenza, dall'art. 3
Cost. Tale premessa non tiene conto, infatti, della
circostanza che la citata legge costituzionale n. 2 del 1999 –
nell'introdurre nel corpo dell'art. 111 Cost. un nuovo secondo
comma, per il quale «Ogni processo si svolge nel
contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità […]» –
si è limitata, sul punto, ad esplicitare nel testo della
Costituzione princípi che la giurisprudenza di questa Corte
aveva già tratto dagli artt. 3 e 24 Cost. e che aveva posto a
fondamento del “giusto processo” (ex multis, sentenze n.
241 del 1999; n. 290 del 1998; n. 432 del 1995; n. 137 del
1984). Pertanto, con riferimento ai suddetti princípi, l'art.
111, secondo comma, Cost. non ha carattere innovativo e la sua
nuova formulazione non vale, diversamente da quanto ritenuto
dal rimettente, a fornire un argomento idoneo a superare la ratio decidendi
dell'indicata sentenza di questa Corte n. 177 del
1992.
6.4.2. –
In base a tale rilievo, va osservato, in particolare, che le
denunciate disposizioni di legge, interpretate secondo i
citati precedenti giurisprudenziali di questa Corte e della
Corte di cassazione, non violano: a) il principio della parità
delle parti nel processo, perché la proroga costituisce la
conseguenza ex lege
di un atto dell'amministrazione meramente ricognitivo ed opera
a favore, contemporaneamente, dei contribuenti e
dell'amministrazione finanziaria, la quale è tenuta – a pena
di invalidità della proroga stessa – al rispetto del canone di
imparzialità sancito dal primo comma dell'art. 97 Cost.; b) il
principio del contraddittorio processuale, perché alla parte
privata è sempre consentito sollecitare un controllo
giurisdizionale – da effettuarsi, appunto, nel rispetto del
contraddittorio – sulla legittimità del decreto di proroga, al
fine di ottenerne l'annullamento, in via principale, o la
disapplicazione, in via incidentale, da parte del giudice; c)
il diritto di difesa del contribuente, perché, come sopra
osservato, il decreto di proroga dei termini processuali giova
anche a quest'ultimo e può essere emesso solo in presenza di
condizioni obiettive (e cioè di eventi di carattere
eccezionale, che abbiano causato il mancato o irregolare
funzionamento degli uffici finanziari), da accertarsi
imparzialmente da organi dell'amministrazione finanziaria che
non sono parti nel processo, con possibilità per l'interessato
di sollecitare un controllo giurisdizionale sulla legittimità
del decreto e, quindi, anche sull'effettiva sussistenza delle
suindicate condizioni.
Quanto
alla denunciata lesione del diritto di difesa, va inoltre
precisato che il richiamo del rimettente al parere del
Garante, richiesto dalla legge prima dell'emissione del
decreto di proroga (parere che non apporterebbe, secondo il
giudice a quo,
«nessuna garanzia per la difesa delle controparti»), non è
rilevante né pertinente: non è rilevante, perché detto parere
non fa venir meno le sopra menzionate garanzie di difesa del
contribuente; non è pertinente, perché è previsto da una
disposizione non applicabile ratione temporis alla
fattispecie (art. 10, comma 1, lettera b, del d.lgs. n. 32
del 2001, che ha modificato l'art. 3 del decreto-legge n. 498
del 1961 solo a decorrere dal 20 marzo
2001).
6.4.3. – A
tale conclusione di non fondatezza delle questioni in esame
non può obiettarsi che l'illegittimità costituzionale della
denunciata disposizione risulterebbe anche dalla comparazione
di questa con la più restrittiva normativa attualmente in
vigore, non applicabile al caso di specie, secondo cui la
proroga dei termini può essere disposta solo per eventi di
carattere eccezionale che non siano «riconducibili a
disfunzioni organizzative dell'amministrazione finanziaria»
(art. 1 del decreto-legge n. 498 del 1961, quale modificato
dall'art. 10, comma 1, lettera a, del d.lgs. n. 32
del 2001). Tale nuova previsione è, infatti, soltanto
espressiva dell'intento del legislatore di limitare il potere
di protrarre i termini all'ipotesi in cui si verifichino
eventi che, oltre ad essere di carattere eccezionale (come
quelli previsti dalla legislazione precedente), siano anche
non imputabili alla disorganizzazione degli uffici.
Siffatto
rilievo non è sufficiente, tuttavia, a far ritenere che la
norma denunciata abbia superato i limiti della non
arbitrarietà e ragionevolezza, perché rientra, pur sempre,
nell'insindacabile discrezionalità del legislatore determinare
l'ampiezza del potere di proroga, attribuendo maggiore o
minore importanza ad obiettive ed eccezionali disfunzioni
organizzative dell'amministrazione finanziaria (ex plurimis,
sull'ampia discrezionalità del legislatore nel fissare termini
in materia tributaria: sentenza n. 11 del 2008; n. 375 del
2002; n. 430 del 1995; n. 238 del 1984). E ciò anche
nell'ipotesi – come quella di specie – in cui la proroga
intervenga dopo la scadenza del termine ed abbia perciò
l'effetto di una rimessione in termini.
7. – La
questione di legittimità costituzionale degli artt. 1 e 3 del
decreto-legge n. 498 del 1961 per violazione del principio
della «ragionevole durata del processo», stabilito dal secondo
periodo del secondo comma dell'art. 111 Cost. non è
fondata.
7.1. – Il
rimettente ritiene che detto principio, «così come inteso
dalla Corte europea dei diritti dell'uomo», non permette che
nel processo si verifichino «ritardi derivanti da disfunzioni
dell'apparato pubblico». Al riguardo, va innanzi tutto
rilevato che – secondo la costante giurisprudenza della Corte
europea dei diritti dell'uomo, genericamente richiamata sul
punto dal rimettente – l'art. 6 della Convenzione per la
salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà
fondamentali, che pone il principio di un termine ragionevole
di durata dei procedimenti, non trova applicazione nel
processo tributario, in quanto tale contenzioso esula
dall'àmbito dei diritti e obblighi di natura civile, salvo che
il giudizio abbia «ad oggetto anche l'applicazione di sanzioni
amministrative, intendendo per tale ogni prestazione
pecuniaria diversa da quella d'imposta che non abbia carattere
reintegrativo della pretesa erariale» (ex multis: sentenze
Jussila contro Finlandia del 23 novembre 2006; Ferrazzini
contro Italia del 12 luglio 2001). Poiché il giudice a quo non afferma che
il giudizio tributario principale ha ad oggetto l'applicazione
di sanzioni amministrative, nella specie il principio della
ragionevole durata del processo non trova fondamento nel
citato art. 6 della Convenzione, come sopra interpretato dalla
Corte europea dei diritti dell'uomo, ma solo nell'art. 111,
secondo comma, secondo periodo, Cost., il quale stabilisce che
detto principio opera con riferimento a «ogni processo» e,
pertanto, anche a quello tributario. Da ciò consegue che
l'unico parametro utilmente evocabile dal rimettente è
costituito dalla suddetta disposizione
costituzionale.
7.2. –
Cosí precisato il parametro costituzionale, nel merito la
questione deve essere dichiarata non
fondata.
La
costante giurisprudenza di questa Corte ha affermato che il
principio della ragionevole durata del processo va
contemperato, alla luce del richiamo al connotato di
«ragionevolezza» che compare nel testo del parametro, con il
complesso delle altre garanzie costituzionali rilevanti nel
processo medesimo e, in particolare, ha chiarito che possono
arrecare un vulnus
a tale principio solamente quelle norme «che comportino una
dilatazione dei tempi del processo non sorrette da alcuna
logica esigenza» (ex
plurimis: ordinanze n. 67 del 2007; n. 419 del 2006).
Nella specie, invece, tale logica esigenza si rinviene, come
già rilevato da questa Corte con la sentenza n. 177 del 1992,
nell'interesse dell'amministrazione finanziaria,
costituzionalmente tutelato, al regolare accertamento e
riscossione delle imposte (art. 53 Cost.).
per
questi motivi
LA
CORTE COSTITUZIONALE
dichiara
non fondate le
questioni di legittimità costituzionale del combinato disposto
dell'art. 1 del decreto-legge 21 giugno 1961, n. 498 (Norme
per la sistemazione di talune situazioni dipendenti da mancato
o irregolare funzionamento degli Uffici finanziari),
convertito, con modificazioni, dalla legge 28 luglio 1961, n.
770, quale sostituito dall'art. 1 della legge 25 ottobre 1985,
n. 592 (Modifiche alle norme sulla proroga dei termini di
prescrizione e di decadenza per il mancato o irregolare
funzionamento degli uffici finanziari), e dell'art. 3 del
medesimo decreto-legge n. 498 del 1961, quale sostituito
dall'art. 33 della legge 18 febbraio 1999, n. 28 (Disposizioni
in materia tributaria, di funzionamento dell'Amministrazione
finanziaria e di revisione generale del catasto), sollevate,
in riferimento agli articoli 24 e 111, secondo comma, della
Costituzione, dalla Corte di cassazione con l'ordinanza
indicata in epigrafe.
Così
deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo
della Consulta, il 23 febbraio
2009.
F.to:
Francesco
AMIRANTE,
Presidente
Franco
GALLO,
Redattore
Giuseppe
DI PAOLA,
Cancelliere
Depositata
in Cancelleria il
27 febbraio
2009.
Il
Direttore della Cancelleria F.to:
DI PAOLA |