SENTENZA N. 209
ANNO 2011
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente: Alfonso QUARANTA; Giudici : Paolo MADDALENA, Alfio FINOCCHIARO, Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI, Giorgio LATTANZI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli articoli 5, commi 3, lettera c), e 4, lettera c), 26, comma 3, 43, commi 2, lettera c), e 6, secondo periodo, della legge della Regione Toscana 12 febbraio 2010, n. 10, recante «Norme in materia di valutazione ambientale strategica (VAS), di valutazione di impatto ambientale (VIA) e di valutazione di incidenza», promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso spedito per la notifica il 19 aprile 2010, depositato in cancelleria il 29 aprile 2010 ed iscritto al n. 69 del registro ricorsi 2010.
Visto l’atto di costituzione della Regione Toscana;
udito nell’udienza pubblica del 21 giugno 2011 il Giudice relatore Gaetano Silvestri;
uditi l’avvocato dello Stato Maria Letizia Guida per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Lucia Bora per la Regione Toscana.
Ritenuto in fatto
1. – Con ricorso spedito per la notifica il 19 aprile 2010 e depositato il successivo 29 aprile, il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato, in riferimento all’articolo 117, primo e secondo comma, lettera s), della Costituzione, gli artt. 5, commi 3, lettera c), e 4, lettera c), 26, comma 3, 43, commi 2, lettera c), e 6, secondo periodo, della legge della Regione Toscana 12 febbraio 2010, n. 10, recante «Norme in materia di valutazione ambientale strategica (VAS), di valutazione di impatto ambientale (VIA) e di valutazione di incidenza».
Il ricorrente ritiene che le norme regionali impugnate violino i parametri costituzionali indicati, in quanto sarebbero in contrasto con la direttiva 19 giugno 2001, n. 2001/41/CE (Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio recante ventunesima modifica della direttiva 76/769/CEE del Consiglio concernente il ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative degli Stati membri relative alle restrizioni in materia di immissione sul mercato e di uso di talune sostanze e preparati pericolosi, per quanto riguarda le sostanze classificate come cancerogene, mutagene o tossiche per la riproduzione) e con la direttiva 27 giugno 1985, n. 85/337/CEE (Direttiva del Consiglio concernente la valutazione dell’impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati), come modificata ed integrata dalla direttiva 3 marzo 1997, n. 97/11/CE (Direttiva del Consiglio che modifica la direttiva 85/337/CEE concernente la valutazione dell’impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati) e dalla direttiva 26 maggio 2003, n. 2003/35/CE (Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che prevede la partecipazione del pubblico nell’elaborazione di taluni piani e programmi in materia ambientale e modifica le direttive del Consiglio 85/337/CEE e 96/61/CE relativamente alla partecipazione del pubblico e all’accesso alla giustizia).
Le norme impugnate sarebbero, inoltre, in contrasto con la normativa nazionale di recepimento di tali direttive dettata dallo Stato, nell’esercizio della propria competenza legislativa esclusiva in materia di tutela dell’ambiente, con il decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale).
1.1. – L’impugnato art. 5, comma 3, lettera c), della legge reg. n. 10 del 2010 prevede che l’effettuazione della VAS sia subordinata alla preventiva valutazione, svolta dall’autorità competente secondo le disposizioni di cui all’articolo 22, della significatività degli effetti ambientali «per i piani e programmi, diversi da quelli di cui al comma 2, e per le loro modifiche, che definiscono il quadro di riferimento per l’autorizzazione di progetti sottoposti a VIA o a verifica di assoggettabilità a VIA, di cui agli allegati II, III e IV del d.lgs. n. 152 del 2006; rientrano in questa fattispecie solo i piani e programmi, e le relative modifiche, elaborati per settori diversi da quelli elencati al comma 2, lettera a)».
Secondo il Presidente del Consiglio dei ministri, questa disposizione, nella parte in cui limita la procedura di verifica di assoggettabilità a VAS ai soli piani e programmi (e relative modifiche) che presiedono alla approvazione di progetti sottoposti a VIA (o a verifica di assoggettabilità a VIA) ai sensi degli allegati II, III e IV del d.lgs. n. 152 del 2006, violerebbe l’art. 117, primo e secondo comma, lettera s), Cost., in quanto restringerebbe «l’ambito di applicazione del combinato disposto dei commi 1 e 3-bis» dell’art. 6 «del citato d.lgs. che fanno riferimento indistinto a tutti i piani ed i programmi che presiedono all’approvazione di progetti di qualsiasi genere (e non solo di quelli sottoposti o assoggettabili a VIA e, ancor meno, a quelli previsti dagli allegati II, III e IV del d.lgs. n. 152 del 2006)».
Per il ricorrente, in particolare, «ricondurre la parola “progetti” ai soli progetti di cui agli allegati II, III e IV del d.lgs. n. 152 del 2006, come ha indicato il legislatore regionale, rappresenta una restrizione illegittima dell’ambito di applicazione della normativa statale in materia di VAS». Ne sarebbero conferma, sul piano letterale, la circostanza che, ove il legislatore statale avesse voluto davvero una siffatta restrizione, lo avrebbe fatto «in via espressa, come accaduto nel caso di cui al comma 2 dell’art. 6 del d.lgs. n. 152 del 2006».
Il ricorrente richiama, poi, la Relazione della Commissione europea al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale e al Comitato delle Regioni del 14 settembre 2009, dalla quale risulterebbe confermata la sottoposizione alla procedura di assoggettabilità a VAS anche di piani e programmi che definiscono il quadro per successive autorizzazioni relativamente a progetti non sottoposti a VIA.
1.2. – L’impugnato art. 5, comma 4, lettera c), della legge reg. n. 10 del 2010 prevede che, «in applicazione del principio di non duplicazione delle valutazioni», non siano sottoposti a VAS né a verifica di assoggettabilità, tra gli altri, «i piani regolatori dei porti di cui alla legge 28 gennaio 1994, n. 84 (Riordino della legislazione in materia portuale), per i quali è necessaria la VIA o la verifica di assoggettabilità a VIA per effetto delle norme vigenti, a condizione che non prevedano varianti o modifiche ai piani e programmi sovraordinati; in caso contrario la VAS o la verifica di assoggettabilità si applica a tali varianti o modifiche».
Per il Presidente del Consiglio dei ministri questa disposizione violerebbe l’art. 117, primo e secondo comma, lettera s), Cost., poiché, in base al combinato disposto dell’art. 5, comma 4, della legge n. 84 del 1994 e dell’art. 6 del d.lgs. n. 152 del 2006, i piani regolatori portuali sarebbero sottoposti ad entrambe le procedure di VAS e di VIA.
Secondo la difesa erariale, a seguito del recepimento nell’ordinamento nazionale della disciplina comunitaria in tema di VAS da parte del d.lgs. n. 152 del 2006, i piani regolatori portuali sarebbero interessati da entrambi i procedimenti, «rientrando tra i piani e programmi che possono avere impatti significativi sull’ambiente e, nel caso abbiano contenuti tali da potere essere considerati come progetti ai sensi del d.lgs. n. 152 del 2006, anche nell’ambito di applicazione della disciplina in materia di VIA». In particolare, la sottoposizione a VAS di tali piani sarebbe desumibile dai commi 1 e 2 dell’art. 6 del d.lgs. n. 152 del 2006.
1.3. – L’art. 26, comma 3, della legge reg. n. 10 del 2010 prevede che «il proponente, ove necessario alla luce del parere motivato, predispone in collaborazione con l’autorità competente, una proposta di revisione del piano o programma da sottoporre all’approvazione dell’autorità procedente. A tal fine il proponente informa l’autorità competente sugli esiti delle indicazioni contenute nel parere motivato, ovvero se il piano o programma sia stato soggetto a revisione o se siano state indicate le motivazioni della non revisione».
Per il Presidente del Consiglio dei ministri questa disposizione, nella parte in cui consente al proponente di informare l’autorità competente circa le motivazioni della non revisione del piano o programma in conformità al parere motivato, violerebbe l’art. 117, primo e secondo comma, lettera s), Cost., in quanto dall’art. 15, comma 2, del d.lgs. n. 152 del 2006, «sebbene non esplicitamente affermato», sembrerebbe desumibile che il parere motivato dell’autorità competente sia non solo obbligatorio ma anche vincolante per l’autorità procedente e, conseguentemente, che esso obblighi alla revisione del piano o del programma.
1.4. – L’art. 43, comma 2, lettera c), della legge regionale impugnata prevede che siano sottoposti alla procedura di verifica di assoggettabilità, ai sensi dell’art. 48, «i progetti concernenti modifiche a opere o impianti che siano ricompresi nelle tipologie di cui agli allegati A1, A2, A3, B1, B2 e B3, realizzati, in fase di realizzazione, o autorizzati, qualora dette modifiche possano avere effetti negativi significativi sull’ambiente. Nei casi in cui il proponente, non ravvisando la possibilità di tali effetti, non richieda l’attivazione della procedura di verifica, è necessario che una dichiarazione in merito, adeguatamente motivata, a firma di tecnico con idonea qualifica, sia allegata alla richiesta di autorizzazione alla realizzazione dell’opera. Sia il proponente, sia l’amministrazione competente al rilascio dell’autorizzazione alla realizzazione dell’opera, possono in ogni caso richiedere all’autorità competente di esprimersi preventivamente circa la sussistenza delle condizioni di cui sopra».
La difesa erariale richiama la sentenza n. 120 del 2010 della Corte costituzionale, la quale ha chiarito che, sebbene la procedura di verifica di assoggettabilità a VIA sia «praticabile in ipotesi contraddistinte da parametri suscettibili di apprezzamenti opinabili», si possono comunque «riscontrare, all’interno del sistema normativo, elementi che contribuiscono a formare un parametro di valutazione il più possibile oggettivo, in modo da ridurre il margine di opinabilità insito nella formula prognostica suddetta». Sulla scorta di tale premessa, la Corte ha escluso che – al fine di stabilire se siano oggetto di verifica di assoggettabilità alla procedura di VIA «le varianti di tracciato concordate con i proprietari dei fondi interessati e le amministrazioni interessate» – il consenso dei proprietari interessati e delle amministrazioni possa costituire valida ragione giustificativa, dato che i primi sono motivati da logiche individuali e le seconde sono istituzionalmente preposte alla cura di interessi (in primo luogo attinenti al governo del territorio) non necessariamente coincidenti con la tutela ambientale.
Per il Presidente del Consiglio dei ministri la norma impugnata violerebbe l’art. 117, primo e secondo comma, lettera s), Cost., in quanto sarebbe in contrasto con la normativa di cui alla Parte seconda del d.lgs. n. 152 del 2006 (ed, in particolare, con l’art. 20 di tale decreto), che, nel disciplinare la procedura di assoggettabilità a VIA, non prevede una fase preliminare a siffatta procedura, «libera da ogni forma di pubblicità ed informazione per il pubblico».
1.5. – L’art. 43, comma 6, della legge reg. n. 10 del 2010 dispone che «le domande di rinnovo di autorizzazione o concessione relative all’esercizio di attività per le quali all’epoca del rilascio non sia stata effettuata alcuna valutazione di impatto ambientale e che attualmente rientrino nel campo di applicazione delle norme vigenti in materia di VIA, sono soggette alla procedura di VIA, secondo quanto previsto dalla presente legge. Per le parti di opere o attività non interessate da modifiche, la procedura è finalizzata all’individuazione di eventuali misure idonee ad ottenere la migliore mitigazione possibile degli impatti, tenuto conto anche della sostenibilità economico-finanziaria delle medesime in relazione all’attività esistente. Tali disposizioni non si applicano alle attività soggette ad autorizzazione integrata ambientale (AIA)».
Per il ricorrente, questa disposizione, limitatamente al suo secondo periodo (cioè ai casi in cui oggetto della procedura siano «le parti di opere o attività non interessate da modifiche»), violerebbe l’art. 117, primo e secondo comma, lettera s), Cost., in quanto «la limitazione delle finalità della procedura di VIA ivi disposta, seppur apprezzabile sotto il profilo economico-finanziario, risulta contraria “all’effetto utile” della direttiva 85/337/CEE».
La difesa erariale richiama, al riguardo, la sentenza n. 67 del 2010 della Corte costituzionale nella parte in cui questa ha affermato che le garanzie sottese ad una domanda di rinnovo «riposano, appunto, sulla necessità di verificare se l’attività estrattiva a suo tempo assentita risulti ancora aderente allo stato di fatto e di diritto esistente al momento della “proroga” o del “rinnovo” del provvedimento di autorizzazione». Nella pronunzia citata la Corte ha anche precisato che, «proprio in tema di autorizzazioni “postume”, la giurisprudenza della Corte di giustizia europea appare ispirata a criteri particolarmente rigorosi (sentenza 3 luglio 2008, procedimento C-215/06), essendosi ribadito che, “a livello di processo decisionale è necessario che l’autorità competente tenga conto il prima possibile delle eventuali ripercussioni sull’ambiente di tutti i processi tecnici di programmazione e di decisione, dato che l’obiettivo consiste nell’evitare fin dall’inizio inquinamenti ed altre perturbazioni, piuttosto che nel combatterne successivamente gli effetti”».
Secondo il ricorrente, in via generale, la finalità che il legislatore persegue quando assoggetta a rinnovo un’attività già autorizzata ovvero data in concessione, sarebbe proprio quella di consentire all’amministrazione di valutare nuovamente se l’interesse del privato a proseguire l’attività sia ancora compatibile con la tutela dei vari interessi pubblici compresenti. Il ricorrente ritiene, pertanto, che in tale ipotesi, contrariamente a quanto previsto dalla norma regionale impugnata, l’amministrazione possa negare la prosecuzione dell’attività privata al fine di tutelare un interesse primario ed assoluto, quale quello alla tutela dell’ambiente e dell’ecosistema.
2. – La Regione Toscana si è costituita con una memoria nella quale sostiene la infondatezza di tutte le questioni proposte dal ricorrente.
2.1. – In ordine alla questione formulata in riferimento all’art. 5, comma 3, lettera c), della legge reg. n. 10 del 2010, la Regione Toscana sostiene che la disposizione impugnata non sia in contrasto con il comma 3-bis dell’art. 6 del d.lgs. n. 152 del 2006 (secondo il quale «l’autorità competente valuta, secondo le disposizioni di cui all’articolo 12, se i piani e i programmi, diversi da quelli di cui al comma 2, che definiscono il quadro di riferimento per l’autorizzazione dei progetti, producano impatti significativi sull’ambiente»), posto che quest’ultimo usa l’espressione «dei progetti» e non «di progetti», volendo con ciò riferirsi non a generici progetti, ma specificatamente ai progetti già citati e descritti al comma 2, lettera a), che sono appunto quelli di cui agli allegati II, III e IV del d.lgs. n. 152 del 2006.
Nella disposizione impugnata, pertanto, la Regione, considerando significativi per l’ambiente i progetti sottoposti a VIA e a verifica di VIA, avrebbe correttamente mutuato l’espressione già utilizzata al comma 2, lettera a), dello stesso art. 6 del d.lgs. n. 152 del 2006, e si sarebbe limitata a chiarire in modo univoco le modalità applicative dell’art. 6, comma 3-bis, del d.lgs. n. 152 del 2006 rispetto alla generica (e potenzialmente ambigua) espressione («impatti significativi per l’ambiente») utilizzata dalla norma statale.
2.2. – In ordine alla questione proposta in riferimento all’art. 5, comma 4, lettera c), della legge reg. n. 10 del 2010, la Regione Toscana chiarisce, anzitutto, che esistono due procedimenti per l’approvazione del piano regolatore portuale: uno disciplinato dall’art. 5 della legge n. 84 del 1994, che si applica ai porti di interesse statale, sedi di autorità portuale, l’altro disciplinato dalla legge regionale 3 gennaio 2005, n. 1 (Norme per il governo del territorio), che si applica ai porti di interesse regionale.
Secondo la difesa regionale, la norma impugnata si riferirebbe solo ai piani regolatori portuali di interesse statale e sarebbe meramente recettiva della disciplina statale dettata dall’art. 5, comma 4, della legge n. 84 del 1994, che prevede la sottoposizione a VIA (e non anche a VAS) di tale piano, sulla scorta del suo carattere sostanzialmente progettuale.
Ad escludere la sottoposizione a VAS del piano regolatore portuale di interesse statale, secondo la difesa regionale, vi sarebbero pertanto il principio di specialità (che imporrebbe la applicazione della norma speciale costituita dall’art. 5 della legge n. 84 del 1994, in luogo della norma generale recata dal d.lgs. n. 152 del 2006, invocata dal ricorrente), nonché argomenti logici (essendo, a dire della Regione, «assurdo» assoggettare prima a VAS e poi a VIA il medesimo piano).
La Regione Toscana, al fine di completare il quadro descrittivo della disciplina in materia, chiarisce altresì che i piani regolatori portuali regionali si configurano, ai sensi dell’art. 47-ter della legge reg. n. 1 del 2005, quali atti di governo del territorio attuativi degli strumenti della pianificazione territoriale per ognuno dei porti e approdi turistici. Per tale ragione essi non rientrerebbero nell’applicazione dell’impugnato art. 5, comma 4, lettera c), della legge reg. n. 10 del 2010, ma ricadrebbero nella categoria degli atti di governo del territorio da assoggettare a VAS, qualora il piano ad essi sovraordinato non sia già stato assoggettato a detta valutazione.
2.3. – In ordine alla questione proposta in riferimento all’art. 26, comma 3, della legge reg. n. 10 del 2010, la Regione Toscana prospetta l’erroneità del presupposto interpretativo da cui muove il ricorso, sostenendo che proprio dalla norma statale invocata dal ricorrente (art. 15 del d.lgs. n. 152 del 2006) emerga il carattere obbligatorio, ma non vincolante, del parere motivato reso dall’autorità competente a valutare la compatibilità ambientale del piano o del programma.
La difesa regionale sottolinea, in particolare, come la disciplina statale in materia, con l’adozione del decreto legislativo 16 gennaio 2008, n. 4 (Ulteriori disposizioni correttive ed integrative del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, recante norme in materia ambientale), abbia abbandonato l’iniziale configurazione della VAS, sulla falsa riga della VIA, quale processo decisionale autonomo (sostanzialmente autorizzatorio e di controllo esterno) teso ad una valutazione di compatibilità/incompatibilità del piano o del programma, a favore di una configurazione, più aderente alla direttiva 27 giugno 2001, n. 2001/42/CE (Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio concernente la valutazione degli effetti di determinati piani e programmi sull’ambiente), come procedura a supporto della decisione, preordinata a garantire che i profili ambientali siano valutati e ponderati già durante l’elaborazione dei piani e dei programmi, ed anteriormente alla loro approvazione.
2.4. – In ordine alla questione proposta in riferimento all’art. 43, comma 2, lettera c), della legge reg. n. 10 del 2010, la Regione Toscana sostiene che la norma impugnata si sia limitata, in primo luogo, a riprodurre il contenuto della disciplina statale – desumibile dall’art. 20, comma 1, lettera b), e dagli allegati II, III e IV alla Parte seconda del d.lgs. n. 152 del 2006 – secondo la quale l’attivazione della procedura di screening è subordinata al preliminare accertamento delle «notevoli ripercussioni negative sull’ambiente», e, in secondo luogo, a disciplinare modalità procedurali di valutazione delle ripercussioni negative per l’ambiente.
A parere della difesa regionale, il richiamo, operato dal ricorrente, alla sentenza n. 120 del 2010 della Corte costituzionale non sarebbe pertinente, attesa l’assoluta eterogeneità di contenuto tra la norma oggi impugnata e quella giudicata dalla Corte con la sentenza citata (art. 4, comma 4, della legge della Regione Puglia 9 ottobre 2008, n. 25, recante «Norme in materia di autorizzazione alla costruzione ed esercizio di linee e impianti elettrici con tensione non superiore a 150.000 volt»). In particolare, nel caso deciso con la sentenza n. 120 del 2010 non sarebbe stata esaminata la previsione di una fase preliminare alla verifica di assoggettabilità a VIA, ma «l’aprioristica esenzione dall’obbligo di munirsi di titolo abilitativo per “le varianti di tracciato concordate con i proprietari dei fondi interessati e le amministrazioni interessate”».
La Regione Toscana sostiene che da questa sentenza (così come dal dato letterale delle disposizioni statali di riferimento), semmai, si desuma, limitatamente alle modifiche ed estensioni dei progetti, la necessità di un’attività preliminare di verifica, preordinata ad accertare la sussistenza dei presupposti per la procedura di screening. La stessa difesa regionale ritiene che il controllo pubblico in ordine alla necessità dell’attivazione della fase di screening, così come previsto dalla norma impugnata, non possa che essere espletato dall’autorità competente ad autorizzare la realizzazione dell’opera, mediante una valutazione effettuata sulla base dei documenti tecnici allegati dal proponente.
Per la Regione, «l’interpretazione della difesa erariale, tesa a prefigurare un obbligo generale di attivazione delle procedure di verifica di assoggettabilità per i casi di modifica in questione, non trova quindi riscontro nella disciplina comunitaria e statale, ponendosi, anzi, in contrasto con i principi di non duplicazione e semplificazione dei procedimenti di valutazione ambientale».
2.5. – In ordine alla questione proposta in riferimento all’art. 43, comma 6, della legge reg. n. 10 del 2010, la Regione Toscana sostiene che la disposizione impugnata abbia esplicitato il principio che riconosce nel rinnovo o nella proroga la sede appropriata per riconsiderare, nell’ambito dell’esercizio della discrezionalità propria dell’atto autorizzativo, la compatibilità dell’interesse del privato alla prosecuzione dell’esercizio di un impianto in essere o di una attività in atto, alla luce dei vari interessi pubblici sottesi e, tra essi, di quello alla tutela ambientale.
Secondo la difesa regionale, tale principio non sarebbe stato codificato dalla disciplina statale in materia di VIA ed, anzi, nel d.lgs. n. 152 del 2006 sussisterebbero specifiche disposizioni di senso opposto (artt. 208 e 210). La resistente sostiene altresì che, là dove una VIA avvenga a posteriori, come nel caso riguardato dalla disposizione regionale impugnata, in riferimento ad un’opera già esistente, non possa che limitarsene l’oggetto, tenendo conto delle situazioni nel frattempo verificatesi. In particolare, «ove la realizzazione dell’impianto esistente sia stata a suo tempo legittimamente autorizzata, non si potrà non tener nella dovuta considerazione l’intangibilità dei diritti quesiti (tra i quali vi è certamente anche quello relativo alla localizzazione e costruzione preesistente), a meno di non voler attribuire un generale effetto retroattivo allo ius superveniens, in violazione del principio fissato dall’art. 11 delle disposizioni sulla legge in generale».
La difesa regionale richiama, al riguardo, la sentenza della Corte di giustizia 7 gennaio 2004, in causa 201/02, punti 64-70, la quale, in tema di VIA postuma, ha affermato che «il diritto interno non può stabilire per l’omessa VIA rimedi più gravosi rispetto a quelli previsti per situazioni analoghe o tali da rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento comunitario».
3. – In prossimità dell’udienza pubblica dell’11 gennaio 2011 il Presidente del Consiglio dei ministri ha depositato una memoria nella quale ribadisce e sviluppa ulteriormente gli argomenti già svolti nel ricorso.
3.1. – Per quanto attiene alla questione relativa all’art. 5, comma 3, lettera c), della legge reg. n. 10 del 2010, il ricorrente contesta come puramente letterale la tesi interpretativa proposta dalla difesa regionale e rimarca come la VAS, alla luce di una interpretazione teleologica e sistematica della relativa disciplina statale, sia obbligatoria per tutti i piani e programmi che possano avere un impatto significativo sull’ambiente (art. 6, comma 1, del d.lgs. n. 152 del 2006) e, quindi, non solo per quelli relativi a progetti sottoposti a VIA o a procedura di assoggettabilità a VIA (per i quali, peraltro, l’art. 6, comma 2, lettera a, del d.lgs. n. 152 del 2006 prevede una presunzione assoluta di significativo impatto ambientale, là dove il piano sia riferito a determinati settori), ma anche per tutti gli altri ritenuti tali sulla scorta di una valutazione da effettuare, volta per volta, nelle forme e nei termini previsti dall’art. 6, comma 3-bis, del d.lgs. n. 152 del 2006.
3.2. – In merito alla questione relativa all’art. 5, comma 4, lettera c), della legge reg. n. 10 del 2010, il ricorrente contesta la tesi proposta dalla difesa regionale, rilevando come non possa applicarsi il principio di specialità tra la legge n. 84 del 1994 e il d.lgs. n. 152 del 2006.
Inoltre, non avrebbe alcun rilievo la circostanza che l’art. 5 della legge n. 84 del 1994 sottoponga solo a VIA (e non anche a VAS) il piano regolatore portuale, dato che la VAS è stata introdotta solo successivamente, con la direttiva n. 2001/42/CE, e si coordinerebbe con la VIA, senza essere alternativa a quest’ultima (stante anche la diversità di oggetto).
Il ricorrente richiama, poi, la novella legislativa costituita dall’art. 6, comma 3-ter, del d.lgs. n. 152 del 2006, introdotto dall’art. 2, comma 3, del decreto legislativo 29 giugno 2010, n. 128 (Modifiche ed integrazioni al decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, recante norme in materia ambientale, a norma dell’articolo 12 della legge 18 giugno 2009, n. 69), secondo il quale «per progetti di opere e interventi da realizzarsi nell’ambito del Piano regolatore portuale, già sottoposti ad una valutazione ambientale strategica, e che rientrano tra le categorie per le quali è prevista la Valutazione di impatto ambientale, costituiscono dati acquisiti tutti gli elementi valutati in sede di VAS o comunque desumibili dal Piano regolatore portuale. Qualora il Piano regolatore portuale ovvero le rispettive varianti abbiano contenuti tali da essere sottoposti a valutazione di impatto ambientale nella loro interezza secondo le norme comunitarie, tale valutazione è effettuata secondo le modalità e le competenze previste dalla Parte Seconda del presente decreto ed è integrata dalla valutazione ambientale strategica per gli eventuali contenuti di pianificazione del Piano e si conclude con un unico provvedimento».
La difesa statale osserva, altresì, come il riferimento alla preventiva sottoposizione a VAS dei piani regolatori portuali, contenuto nella normativa sopra richiamata, dimostri che, «nell’ottica del legislatore, è sempre stato previsto lo svolgimento di tale procedura per i suddetti piani».
3.3. – Per quanto attiene alla questione relativa all’art. 26, comma 3, della legge reg. n. 10 del 2010, il ricorrente richiama la lettera di costituzione in mora dell’8 ottobre 2009 della Commissione europea, la quale ha posto in evidenza che l’art. 8 della direttiva n. 2001/42/CE «stabilisce l’obbligo di prendere in considerazione, in fase di preparazione del piano e del programma e prima della sua adozione o dell’avvio della relativa procedura legislativa, sia il rapporto ambientale che i risultati della consultazione». Pertanto, «nell’applicare l’art. 8 gli Stati membri possono decidere come prendere in considerazione, ma non se prendere in considerazione, il rapporto ambientale e gli esiti delle consultazioni nella preparazione del piano o programma».
L’art. 15, comma 2, del d.lgs. n. 152 del 2006 andrebbe letto in conformità ai principi comunitari, non nel senso (ritenuto dalla Regione) che l’autorità procedente possa valutare discrezionalmente se sia opportuno o meno modificare il piano in conformità al parere motivato espresso a seguito della VAS, ma piuttosto nel senso che la revisione del piano debba comunque essere effettuata in tutti i casi in cui la procedura di VAS lo imponga, in ragione del suo esito totalmente o parzialmente sfavorevole.
Secondo la difesa statale, questo secondo significato, già enucleabile dal precedente testo dell’art. 15, comma 2, del d.lgs. n. 152 del 2006, emergerebbe con maggiore chiarezza dal nuovo testo della stessa disposizione, introdotto dall’art. 13 del d.lgs. n. 124 (recte 128) del 2010, secondo cui «l’autorità procedente, in collaborazione con l’autorità competente, provvede, prima della presentazione del piano o programma per l’approvazione e tenendo conto delle risultanze del parere motivato di cui al comma 1 e dei risultati delle consultazioni transfrontaliere, alle opportune revisioni del piano o programma».
3.4. – In merito alla questione relativa all’art. 43, comma 2, lettera c), della legge reg. n. 10 del 2010, a parere del ricorrente l’interpretazione logica e coordinata delle disposizioni contenute nell’art. 20 del d.lgs. n. 152 del 2006 indurrebbe a ritenere che il proponente abbia l’obbligo di sottoporre all’autorità competente tutti i progetti preliminari che rientrino nelle categorie previste, senza nessuna valutazione preliminare di merito sull’opportunità di effettuare la verifica di assoggettabilità. Ogni modifica degli impianti e delle opere specificate nell’allegato II del d.lgs. n. 152 del 2006 sarebbe astrattamente idonea a produrre effetti pregiudizievoli all’equilibrio ambientale, così da dover essere sottoposta alla verifica di assoggettabilità.
Questa lettura, già enucleabile dal precedente testo dell’art. 20 del d.lgs. n. 152 del 2006, emergerebbe con maggiore chiarezza dal nuovo testo della stessa disposizione introdotto dall’art. 2, comma 17, del d.lgs. n. 128 del 2010, secondo il quale il proponente deve trasmettere, per la verifica di assoggettabilità a VIA, i progetti «inerenti le modifiche o estensioni dei progetti elencati nell’allegato II che possano produrre effetti negativi e significativi sull’ambiente». Sempre per l’Avvocatura generale (che richiama, quale argomento a favore di tale tesi la motivazione della sentenza n. 127 del 2010 della Corte costituzionale), sarebbe chiaro che tale possibilità debba essere concretamente valutata dall’autorità competente.
3.5. – Infine, in relazione alla questione concernente l’art. 43, comma 6, della legge reg. n. 10 del 2010, il ricorrente ribadisce gli argomenti già svolti, richiamando le sentenze della Corte costituzionale n. 167 del 2009, n. 190 del 2001, n. 196 del 1998 e n. 356 del 1994, in ordine alla possibilità che l’amministrazione, in sede di rinnovo o proroga, consideri prevalente l’interesse alla conservazione dell’ambiente rispetto a quello del privato alla prosecuzione dell’attività economica.
4. – In prossimità dell’udienza pubblica dell’11 gennaio 2011 anche la Regione Toscana ha depositato una memoria nella quale si limita a richiamare le difese già svolte nell’atto di costituzione.
In ordine alla questione relativa all’art. 43, comma 6, peraltro, la difesa regionale sviluppa ulteriori argomenti nel senso della infondatezza.
Secondo la resistente, dalla interpretazione letterale di varie disposizioni del d.lgs. n. 152 del 2006 – vengono richiamati gli artt. 5, comma 1, lettera b), 6, comma 5, 7, comma 5, 20 e 23 – e dalla specifica disciplina dettata in materia di impianti di gestione dei rifiuti di cui agli artt. 208 e 210 del medesimo decreto legislativo, emergerebbe come la procedura di valutazione di impatto ambientale si applichi ai nuovi progetti ed alle modifiche sostanziali, mentre non trovi applicazione ai rinnovi di autorizzazione o di concessione che non comportino modifiche sostanziali.
Tale tesi ermeneutica sarebbe confermata dalla sentenza della Corte di giustizia 7 gennaio 2004, in causa 201/02, che, a parere della Regione Toscana, escluderebbe espressamente l’applicazione retroattiva della VIA, limitandone l’obbligo ai soli casi nei quali il rinnovo contiene nuove statuizioni e prescrizioni o regola varianti funzionali importanti.
La difesa regionale richiama sul punto anche alcune pronunzie dei giudici amministrativi, dalle quali si desumerebbe la incompatibilità ontologica di una valutazione di impatto ambientale “postuma”, essendo la VIA per sua natura e configurazione normativa un mezzo preventivo di tutela dell’ambiente ispirato ai principi di precauzione e prevenzione dell’azione ambientale.
A fronte di tale quadro – che nella realtà applicativa regionale ha determinato difficoltà interpretative – la Regione Toscana ritiene di aver chiarito ciò che non è esplicitato nel d.lgs. n. 152 del 2006, il quale, anzi, conterrebbe norme che, come sopra rilevato, depongono nel senso opposto a quanto affermato dalla difesa statale nel ricorso in oggetto.
Statuendo l’obbligatorietà della VIA in tutti i casi di rinnovo di autorizzazione o concessione, la Regione avrebbe inteso assicurare proprio il rispetto dell’effetto utile della direttiva n. 85/337/CEE, mentre, disponendo che, per le parti di opere o attività non interessate da alcuna modifica, la VIA sia volta ad individuare e prescrivere le misure idonee ad ottenere la migliore mitigazione degli impatti, tenuto conto anche della sostenibilità economico-finanziaria delle medesime in relazione all’attività esistente, il legislatore regionale si sarebbe limitato a tenere conto delle situazioni nel frattempo verificatesi e del carattere postumo della VIA.
D’altronde, la considerazione delle fattispecie esistenti, a parere della Regione Toscana, costituirebbe un principio codificato. In particolare, esso sarebbe desumibile dalla previsione dell’art. 28 del d.lgs. n. 152 del 2006, secondo cui, qualora dalle attività realizzate risultino impatti negativi ulteriori e diversi o più significativi rispetto a quelli valutati in sede di VIA, l’autorità competente può apporre condizioni ulteriori per la prosecuzione dell’attività, mentre, ove dall’esecuzione dei lavori o dall’esercizio dell’attività possano derivare gravi ripercussioni negative, non preventivamente valutate, sulla salute pubblica e sull’ambiente, può essere ordinata la sospensione dei lavori o delle attività realizzate, nelle more delle determinazioni correttive da adottare.
Inoltre, in virtù dell’art. 29 del medesimo decreto legislativo, se non vengono osservate le prescrizioni impartite in sede di VIA tali da incidere sugli esiti e sulle risultanze finali della verifica e della valutazione, l’autorità competente impone al proponente l’adeguamento dell’opera o dell’intervento, stabilendone tempi e modalità, mentre la demolizione è prevista solo nel caso di opere realizzate senza VIA.
La difesa della resistente riporta, poi, ampi brani della sentenza n. 120 del 2010 della Corte costituzionale, sostenendo che da questa pronuncia – la quale afferma il principio della obbligatorietà della VIA in caso di rinnovo di una autorizzazione o di una concessione – si ricavi anche il principio secondo cui, riguardo agli impianti esistenti, la sottoposizione a VIA è necessaria solo per le modifiche dei progetti che comportino effetti negativi apprezzabili per l’ambiente. Non sussisterebbe, in particolare, alcun contrasto tra la disposizione regionale impugnata e i principi espressi in questa sentenza, posto che quest’ultima non riguarderebbe il caso disciplinato dalla norma in esame.
La norma regionale impugnata, in definitiva, nell’affermare la necessità di VIA in tutti i casi di rinnovo, sulla scorta della sentenza della Corte di giustizia 7 gennaio 2004, in causa 201/02, si sarebbe limitata a «declinare» il procedimento di VIA alle peculiarità della fattispecie.
Per la Regione Toscana, infine, non sarebbe censurabile neppure il riferimento, contenuto nella norma impugnata, alla sostenibilità economico-finanziaria delle misure di mitigazione impartite, trattandosi di principio anch’esso presente nel d.lgs. n. 152 del 2006 (in particolare, nell’art. 242, il quale prevede la regola del ricorso alle migliori tecnologie disponibili che non impongano costi eccessivi di intervento) ed essendo sostanzialmente un corollario dei principi di ragionevolezza e proporzionalità.
5. – In data 4 gennaio 2011, la Regione Toscana ha depositato un’istanza di rinvio dell’udienza di discussione della causa in esame, in quanto – a seguito dell’approvazione della legge della Regione Toscana 30 dicembre 2010, n. 69 (Modifiche alla legge regionale 12 febbraio 2010, n. 10 – Norme in materia di valutazione ambientale strategica “VAS”, di valutazione di impatto ambientale “VIA” e di valutazione di incidenza) – sarebbero venute meno le ragioni della controversia.
L’Avvocatura generale dello Stato ha aderito alla suddetta istanza.
6. – In data 30 maggio 2011, la Regione Toscana ha depositato una ulteriore memoria nella quale rappresenta che, a seguito dell’approvazione della legge reg. n. 69 del 2010, gli artt. 5, commi 3, lettera c), e 4, lettera c), 26, comma 3, e 43, comma 2, lettera c), della legge reg. n. 10 del 2010, sono stati modificati nel senso auspicato dal ricorrente.
La resistente sottolinea, altresì, che le suddette norme non hanno mai ricevuto alcuna applicazione pratica in quanto si riferiscono a piani e programmi che vengono adottati all’inizio della legislatura, e l’adozione di siffatti piani e programmi, al momento dell’entrata in vigore della legge reg. n. 69 del 2010, non era ancora avvenuta.
Pertanto, la difesa regionale chiede che, con riferimento alle norme sopra indicate, sia dichiarata cessata la materia del contendere.
L’unica norma non interessata dalle modifiche suddette è quella di cui all’art. 43, comma 6, in riferimento alla quale la difesa regionale ribadisce le argomentazioni già sviluppate nell’atto di costituzione e nella prima memoria, chiedendo che la relativa questione sia dichiarata non fondata.
7. – In data 14 giugno 2011, l’Avvocatura generale dello Stato, preso atto delle modifiche operate dalla legge reg. n. 69 del 2010, ha depositato atto di rinuncia limitatamente alle questioni promosse nei confronti degli artt. 5, commi 3, lettera c), e 4, lettera c), 26, comma 3, e 43, comma 2, lettera c), della legge reg. n. 10 del 2010.
La difesa statale insiste, invece, affinché sia dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 43, comma 6, della predetta legge.
8. – La Regione Toscana ha aderito all’atto di rinuncia parziale.
Considerato in diritto
1. – Il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato, in riferimento all’articolo 117, primo e secondo comma, lettera s), della Costituzione, gli artt. 5, commi 3, lettera c), e 4, lettera c), 26, comma 3, 43, commi 2, lettera c), e 6, secondo periodo, della legge della Regione Toscana 12 febbraio 2010, n. 10, recante «Norme in materia di valutazione ambientale strategica (VAS), di valutazione di impatto ambientale (VIA) e di valutazione di incidenza».
2. – Nelle more del giudizio di legittimità costituzionale, la legge della Regione Toscana 30 dicembre 2010, n. 69 (Modifiche alla legge regionale 12 febbraio 2010, n. 10 – Norme in materia di valutazione ambientale strategica “VAS”, di valutazione di impatto ambientale “VIA” e di valutazione di incidenza) ha modificato le disposizioni di cui agli artt. 5, commi 3, lettera c), e 4, lettera c), 26, comma 3, 43, comma 2, lettera c), della legge reg. Toscana n. 10 del 2010, nelle parti che erano oggetto dell’impugnativa statale.
La Regione Toscana, con una memoria depositata in prossimità dell’udienza, ha precisato che le suddette disposizioni sono state modificate nel senso auspicato dal ricorrente, ed ha chiesto, in considerazione della loro mancata applicazione nel periodo di vigenza, che sia dichiarata cessata la materia del contendere.
Il Presidente del Consiglio dei ministri – ritenuto che alla luce delle modifiche operate sono venute meno le ragioni che avevano portato alla proposizione del ricorso – ha depositato in data 14 giugno 2011 un formale atto di rinuncia al ricorso stesso, limitatamente alle questioni promosse nei confronti degli artt. 5, commi 3, lettera c), e 4, lettera c), 26, comma 3, e 43, comma 2, lettera c), della legge reg. n. 10 del 2010. Alla predetta rinuncia ha aderito la Regione Toscana.
Pertanto, ai sensi dell’art. 23 delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, deve essere dichiarata l’estinzione del giudizio in relazione alle sole questioni sopra indicate (ex plurimis, ordinanze n. 168 e n. 148 del 2011).
3. – L’art. 43, comma 6, della legge reg. Toscana n. 10 del 2010 stabilisce che «le domande di rinnovo di autorizzazione o di concessione relative all’esercizio di attività per le quali all’epoca del rilascio non sia stata effettuata alcuna valutazione di impatto ambientale e che attualmente rientrino nel campo di applicazione delle norme vigenti in materia di VIA sono soggette alla procedura di VIA, secondo quanto previsto dalla presente legge. Per le parti di opere o attività non interessate da modifiche, la procedura è finalizzata all’individuazione di eventuali misure idonee ad ottenere la migliore mitigazione possibile degli impatti, tenuto conto anche della sostenibilità economico-finanziaria delle medesime in relazione all’attività esistente. Tali disposizioni non si applicano alle attività soggette ad autorizzazione integrata ambientale (AIA)».
A parere del ricorrente, il secondo periodo della citata disposizione – che si riferisce ai casi in cui oggetto della procedura siano le parti di opere o attività non interessate da modifiche – violerebbe l’art. 117, primo e secondo comma, lettera s), Cost., in quanto la limitazione della finalità della procedura di VIA ivi disposta, seppur apprezzabile sotto il profilo economico-finanziario, risulterebbe contraria all’«effetto utile» della direttiva 27 giugno 1985, n. 85/337/CEE (Direttiva del Consiglio concernente la valutazione dell’impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati).
4. – La questione non è fondata.
4.1. – La disposizione impugnata disciplina la cosiddetta “VIA postuma”, cioè regolamenta l’ipotesi in cui la valutazione di impatto ambientale non fosse necessaria quando è stata rilasciata l’autorizzazione o la concessione per l’esercizio di una attività, ma lo sia divenuta al momento del rinnovo dell’autorizzazione o concessione.
Il comma 6 dell’art. 43 della legge regionale in oggetto contiene, nel primo periodo, una previsione generale, in virtù della quale, nell’ipotesi sopra indicata, le attività in parola sono soggette a procedura di VIA, in base a quanto prescritto dalla medesima legge regionale.
Il secondo periodo di tale disposizione (oggetto delle odierne censure) distingue, all’interno di una complessiva attività o opera, le parti che non sono interessate da modifiche da quelle che lo sono, prescrivendo per le prime una VIA “depotenziata”, tanto da vanificare – secondo il ricorrente – l’effetto della procedura stessa.
Infine, il terzo periodo del comma 6 dell’art. 43 prevede che le disposizioni di cui sopra non si applichino alle attività soggette ad autorizzazione integrata ambientale (AIA), circoscrivendo, in questo modo, l’ambito di operatività della norma censurata alle sole attività per le quali non vige l’obbligo di sottoposizione all’AIA.
5. – Si deve segnalare innanzitutto che né la direttiva n. 85/337/CEE, né il cosiddetto Codice dell’ambiente (decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, recante «Norme in materia ambientale») disciplinano espressamente l’ipotesi di rinnovo di autorizzazione o concessione riguardanti un’attività avviata in un momento in cui non era prescritto l’obbligo di sottoposizione a VIA. Pertanto, la giurisprudenza comunitaria e quella nazionale sono state chiamate a dare risposta al quesito se sia possibile – stante il carattere preventivo della VIA, riguardante piani e progetti – estendere l’obbligo di effettuarla ad opere per le quali tale valutazione non era necessaria al momento della loro realizzazione.
5.1. – La Corte di giustizia dell’Unione europea – in un caso diverso da quello oggetto dell’odierna questione di legittimità costituzionale, trattandosi di opere progettate nel 1997 e non assoggettate a VIA secondo i criteri della direttiva – ha precisato che, in mancanza di VIA preventiva, per opere effettuate tuttavia dopo l’entrata in vigore della direttiva di cui sopra, il diritto comunitario non osta alla possibilità, concessa da una normativa nazionale, di regolarizzare ex post operazioni o atti non conformi alle prescritte procedure, a condizione però che la regolarizzazione «non offra agli interessati l’occasione di aggirare le norme comunitarie o di disapplicarle, e che rimanga eccezionale» (sentenza 3 luglio 2008, in causa C-215/06). La valutazione postuma di opere o attività, che avrebbero dovuto essere assoggettate a VIA – in quanto rientranti nelle previsioni della normativa comunitaria per la tipologia e per i tempi della loro realizzazione – deve essere rigorosa, onde non consentire che dalla violazione dell’obbligo imposto dalla direttiva derivi un trattamento più favorevole per gli interessati inadempienti. VIA preventiva e VIA “postuma” devono essere pertanto perfettamente simmetriche e di pari ampiezza e approfondimento.
5.2. – Nello stesso senso si è espressa questa Corte, con riferimento ad un’ipotesi diversa da quella sopra esaminata, là dove ha affermato la necessità «di verificare se l’attività […] a suo tempo assentita risulti ancora aderente allo stato di fatto e di diritto esistente al momento della “proroga” o del “rinnovo” del provvedimento di autorizzazione» (sentenza n. 67 del 2010). Occorre mettere in rilievo che, nel caso risolto da tale ultima pronuncia, si era in presenza di una legge regionale che prorogava automaticamente, alla scadenza, le autorizzazioni in essere, escludendo così, in via generale e astratta, ogni valutazione dell’autorità amministrativa sulle singole situazioni.
Peraltro, questa Corte – dopo aver ricordato che, ai sensi dell’art. 20, comma 1, lettera b), del d.lgs. n. 152 del 2006, riguardo agli impianti esistenti, la VIA può proporsi solo per «modifiche dei progetti elencati negli allegati che comportino effetti negativi apprezzabili per l’ambiente» – ha affermato che «si pone la necessità della VIA ogni volta che si debba procedere al rinnovo dell’autorizzazione» (sentenza n. 120 del 2010).
5.3. – Da ultimo, la Corte di giustizia dell’Unione europea è tornata sull’argomento, con una serie di statuizioni rilevanti per il presente giudizio.
Coerentemente al carattere preventivo della VIA, quale emerge dalla direttiva n. 85/337/CEE, la Corte ha affermato che «il rinnovo di un’autorizzazione esistente a gestire un aeroporto, in assenza di lavori o di interventi di modifica della realtà fisica del sito, non può essere qualificato come “progetto” ai sensi dell’art. 1, n. 2, secondo trattino, della direttiva 85/337», e che, con il termine «costruzione», si fa riferimento «alla realizzazione di opere prima inesistenti oppure alla modifica, in senso fisico, di opere preesistenti».
La Corte inoltre ha avuto cura di formulare la seguente precisazione: «nell’ipotesi in cui risultasse che, a partire dall’entrata in vigore della direttiva 85/337, lavori o interventi fisici che debbono essere considerati progetto ai sensi di questa direttiva siano stati realizzati sul sito dell’aeroporto senza che il loro impatto ambientale sia stato oggetto di valutazione in una fase anteriore al procedimento di autorizzazione, spetterebbe al giudice del rinvio tenerne conto nella fase del rilascio dell’autorizzazione di gestione e di garantire l’effetto utile della direttiva vegliando a che la detta valutazione sia realizzata almeno in questa fase del procedimento» (sentenza 17 marzo 2011, in causa C-275/09).
6. – Alla luce dei principi stabiliti dalla giurisprudenza comunitaria e di questa Corte, occorre procedere alla verifica del loro rispetto da parte della disposizione impugnata.
6.1. – Il primo periodo del citato art. 43, comma 6, (non impugnato dal ricorrente) prescrive, in via generale, l’assoggettamento a VIA delle domande di rinnovo di autorizzazione o concessione relative all’esercizio di attività per le quali all’epoca del rilascio non sia stata effettuata alcuna valutazione di impatto ambientale e che attualmente rientrino nel campo di applicazione delle norme vigenti in materia di VIA. La norma si fa carico dell’esigenza di imporre la valutazione, sempre e comunque, dell’intera opera o attività già in essere.
Il presupposto di tale prescrizione deve essere cercato nella necessità, emergente dalla giurisprudenza comunitaria, di “vegliare” a che l’effetto utile della direttiva n. 85/337/CEE sia comunque raggiunto, senza tuttavia rimettere in discussione, nella loro interezza, le localizzazioni di tutte le opere e le attività ab antiquo esistenti. Ciò sarebbe contrario al ragionevole bilanciamento che deve esistere tra l’interesse alla tutela ambientale ed il mantenimento della localizzazione storica di impianti e attività, il cui azzeramento – con rilevanti conseguenze economiche e sociali – sarebbe l’effetto possibile di un’applicazione retroattiva degli standard di valutazione divenuti obbligatori per tutti i progetti successivi al 3 luglio 1988, data di scadenza del termine di attuazione della suddetta direttiva, già definita «spartiacque» dalla sentenza n. 120 del 2010 di questa Corte.
6.2. – Il secondo periodo (impugnato dal ricorrente) del medesimo comma 6 dell’art. 43 disciplina le conseguenze della VIA effettuata in presenza di modifiche all’opera o all’attività preesistente alla direttiva. Dalla disposizione in questione – da interpretare in stretta connessione con quella contenuta nel primo periodo – si deducono tre distinte regole: a) la VIA, in occasione del rinnovo della autorizzazione o concessione, deve essere effettuata sempre sull’intera opera o attività; b) siffatta valutazione mira a realizzare gli effetti tipici di tale procedura con riferimento alle modifiche intervenute successivamente all’entrata in vigore della direttiva comunitaria e non assoggettate preventivamente a VIA; c) la stessa, con riguardo alle parti di opere o attività non interessate da modifiche, è rivolta alla «individuazione di eventuali misure idonee ad ottenere la migliore mitigazione possibile degli impatti, tenuto conto anche della sostenibilità economico-finanziaria delle medesime in relazione all’attività esistente».
Se si considera che, nel silenzio delle norme scritte, la giurisprudenza comunitaria ha richiesto la VIA “postuma”, in occasione dell’autorizzazione alla gestione, solo sulle modifiche intervenute successivamente alla scadenza del termine di recepimento della direttiva e non assoggettate, per qualsiasi motivo, a valutazione preventiva, si ricava la conclusione che la disposizione censurata nel presente giudizio non limita in modo illegittimo un controllo a tutela dell’ambiente prescritto dalla normativa comunitaria, quale interpretata dalla Corte di giustizia.
Essa aggiunge, a completamento della valutazione sulle modifiche, necessaria e indispensabile nella sua pienezza, una verifica ulteriore anche sulle parti non interessate dalle modifiche stesse, in coerenza con la previsione del periodo precedente, che impone la VIA su tutta l’opera o attività, anche nell’ipotesi di rinnovo dell’autorizzazione o concessione. La prospettiva di quest’ultima valutazione non è l’eventuale cessazione dell’attività, ma la mitigazione dell’impatto ambientale, tenuto conto dell’effetto combinato del tempo trascorso e delle modifiche apportate.
Il legislatore regionale ha ritenuto necessaria una valutazione globale dell’opera, al momento del rinnovo dell’autorizzazione o concessione, ma ha non irragionevolmente distinto tra effetti della procedura sulle modifiche ed effetti della stessa sulle parti dell’opera o attività preesistenti e non incise dalle modifiche.
6.3. – Tale disposizione deve essere interpretata alla luce di quanto ha statuito la Corte di giustizia sulla necessità che la valutazione sulle modifiche sia effettuata «tenuto conto, all’occorrenza, dell’effetto cumulativo dei diversi lavori e interventi realizzati a partire dall’entrata in vigore di tale direttiva» (sentenza 17 marzo 2011, in causa C-275/09). Sarebbe infatti inammissibile, perché elusiva dell’effetto utile della direttiva, una VIA frazionata per ciascun intervento modificativo, che potrebbe portare a risultati ben diversi – in ipotesi più favorevoli agli esercenti l’attività controllata – rispetto ad una valutazione globale sull’incidenza complessiva di tutte le modifiche effettuate.
La considerazione degli effetti cumulativi, in conformità alla giurisprudenza comunitaria, può condurre all’impossibilità di distinguere le parti dell’opera o dell’attività modificate da quelle non interessate dalle modifiche, nell’ipotesi che queste ultime siano così rilevanti da alterare la fisionomia complessiva dell’opera o dell’attività, già in essere prima dell’entrata in vigore della direttiva. In tal caso, infatti, si tratterebbe di opera nuova, con la conseguenza che non esisterebbero parti scorporabili, secondo la previsione della disposizione censurata. Quest’ultima deve essere interpretata infatti come prescrizione condizionata alla praticabilità, fisica e giuridica, dello scorporo delle parti modificate da quelle non modificate. In tutti i casi in cui tale scorporo non sia possibile, si verificherebbe quanto la Corte di giustizia ha voluto inibire, vale a dire l’artificioso frazionamento delle valutazioni di impatto.
6.4. – La garanzia che l’organicità della VIA venga osservata si fonda sulla prescrizione del primo periodo del comma 6 dell’art. 43, là dove prevede che, al momento del rinnovo, si proceda in ogni caso a VIA sull’intera opera o attività. Resta esclusa pertanto l’eventualità che venga sottratta alle autorità competenti la valutazione dell’intera opera o attività. Saranno dunque tali autorità a distinguere le parti che non hanno subito alcuna influenza da quelle invece realmente modificate, con gli effetti diversi previsti dalla norma censurata. Saranno ugualmente le autorità valutatrici a decidere se le modiche apportate, per quantità e qualità, rendano impossibile, o comunque artificiosa, la suddetta distinzione, con la conseguenza che risulterà applicabile solo il primo periodo del comma 6, mancando i presupposti, di fatto e di diritto, per applicare il secondo.
Un ragionevole bilanciamento degli interessi in campo – la tutela dell’ambiente e l’iniziativa economica privata – entrambi costituzionalmente protetti, giustifica l’intento di non travolgere e azzerare opere o attività da lungo tempo legittimamente localizzate, senza tuttavia consentire che tale status acquisito possa trasmettersi ad interventi di modifica successivi, da assoggettare a VIA. È necessario pertanto individuare accuratamente gli effetti globali delle innovazioni, in modo da distinguere le situazioni nelle quali residuano parti in alcun modo incise dalle modificazioni dai casi in cui lo “scorporo” porterebbe ad una elusione dell’effetto utile della direttiva.
Peraltro, come già sottolineato, il terzo periodo del comma 6 dell’art. 43 esclude che la disposizione in esame trovi applicazione nei confronti delle attività soggette ad autorizzazione integrata ambientale.
In tale contesto ermeneutico, la norma impugnata si sottrae alle censure di illegittimità costituzionale formulate dal ricorrente nel presente giudizio.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara estinto il giudizio in ordine alle questioni di legittimità costituzionale degli articoli 5, commi 3, lettera c), e 4, lettera c), 26, comma 3, 43, comma 2, lettera c), della legge della Regione Toscana 12 febbraio 2010, n. 10, recante «Norme in materia di valutazione ambientale strategica (VAS), di valutazione di impatto ambientale (VIA) e di valutazione di incidenza», promosse, in riferimento all’art. 117, primo e secondo comma, lettera s), della Costituzione, dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe;
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 43, comma 6, secondo periodo, della legge della Regione Toscana n. 10 del 2010, promossa, in riferimento all’art. 117, primo e secondo comma, lettera s), Cost., dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 4 luglio 2011.
F.to:
Alfonso QUARANTA , Presidente
Gaetano SILVESTRI, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 13 luglio 2011.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: MELATTI
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