Corte di appello di Napoli, sentenza del 13 marzo 2015
La Corte d’Appello di Napoli
sezione persona
e famiglia, riunita in camera di consiglio in persona dei magistrati:
dott.
Adele Viciglione Presidente rel.
dott. Alessandro Cocchiara Consigliere
est.
dott. Annamaria D’Andrea Consigliere
letto il ricorso, depositato in
data 14.10.14, con il quale La Delfa Giuseppina (nata il 27.1.1963, a Tourcoing,
Francia, cittadina francese e iure sanguinis italiana) e Hoedts Raphaelle Louise
Anna (nata il 12.7.1963 a Lille, Francia, cittadina francese), rappresentate e
difese dall’avv. Alexander Schuster del foro di Trento e dall’avv. Giuseppe Di
Meo (presso il quale elett.te domiciliano in Avellino, via Maffucci n. 12),
hanno proposto, ex art. 739 c.p.c., reclamo avverso il provvedimento di rigetto
della loro opposizione, ex artt. 95 e ss. d.p.r. n. n.396/2000, al rifiuto del
Sindaco del Comune di Santo Stefano del Sole (AV), quale ufficiale dello stato
civile, della trascrizione del matrimonio contratto a Tourcoing (Francia) il
5.10.2013, emesso dal Tribunale di Avellino in data 7.10.14, depositato il
9.10.14;
letta la memoria difensiva del reclamato Sindaco, quale ufficiale di
Governo, rappresentato e difeso ex lege dall’Avvocatura Distrettuale dello
Stato, domiciliata in Napoli, via A. Diaz n.11, che ha chiesto il rigetto del
reclamo;
letti gli atti e sentiti il relatore e i rispettivi procuratori
delle parti, nonché il P.G. che, con articolato parere ha chiesto l’accoglimento
del reclamo, sciogliendo la riserva di cui al verbale della camera di consiglio
del 13.3.2015 (cui ha fatto seguito il decreto presidenziale in data 3.7.2015 di
designazione dell’estensore in persona del dott. Cocchiara), ha emesso il
seguente
DECRETO
Va premesso che l’eccezione di nullità del reclamo in
quanto nella copia notificata all’Amministrazione mancherebbero quattro pagine,
è infondata poiché la prima udienza di comparizione è stata differita e ciò ha
consentito al reclamato di prendere posizione su tutte le questioni prospettate
dal reclamante anche nelle (poche) pagine inizialmente non notificate, tanto da
aver la difesa erariale depositato in data 20.2.2015 note illustrative (che
richiamano la sentenza della Suprema Corte n. 2400/15 che nulla aggiunge di
nuovo rispetto alle questioni affrontate da Cass. n.4184/12).
Il reclamante
si duole innanzitutto della non pertinenza del provvedimento impugnato con il
quale il primo giudice si è effettivamente limitato a trascrivere
pedissequamente la sentenza della Corte Suprema n. 4184/12, inerente al diverso
caso della non tracrivibilità negli atti dello stato civile del matrimonio
contratto all’estero da due cittadini italiani dello stesso sesso.
E’ noto
che la Corte suprema di cassazione (Cassazione civile , 15 marzo 2012, n.4184,
sez. I), in dialogo con la Corte europea dei diritti dell’uomo e allineandosi
alle sue precedenti aperture, ha sancito l’intrascrivibilità del matrimonio fra
persone (italiane) dello stesso sesso celebrato all’estero, motivandola però non
con l’inesistenza o l’invalidità dell’atto, ma con la sua inidoneità a produrre
effetti nell’ordinamento.
Ed invero, la problematica affrontata dalla Corte
europea (Cedu, sez. I, 24 giugno 2010 ric. n. 30141/04, Schalk and Kopf c.
Austria ) concerneva la questione se persone dello stesso sesso potessero
affermare di avere il diritto di contrarre matrimonio, risolta innovativamente
(la Corte di Strasburgo aveva a lungo ritenuto che il dettato dell’art. 12 Cedu
— ai sensi del quale « l’uomo e la donna hanno il diritto di sposarsi e di
fondare una famiglia secondo le leggi nazionali che regolano l’esercizio di tale
diritto » — si estendesse esclusivamente ai matrimoni contratti tra due persone
di sesso opposto) con l’affermazione (dettata dalla presa d’atto di una sempre
più consolidata tendenza delle legislazioni europee a riconoscere, sotto diverse
forme, le unioni omosessuali; al momento della decisione, infatti, cinque Stati
membri del Consiglio d’Europa avevano già esteso l’istituto matrimoniale alle
coppie same-sex, mentre altri quattordici prevedevano altre forme di
riconoscimento giuridico di tali unioni) dei seguenti principi: – in primo
luogo, l’art. 12 della Convenzione, letto alla luce dell’art. 8 della Carta di
Nizza, comprende il diritto al matrimonio di persone appartenenti allo stesso
sesso. Tuttavia è la legislazione nazionale che può consentire o meno
l’esercizio di tale diritto; – in secondo luogo, a norma dell’art. 14 della
Convenzione – posto in relazione all’art. 8 della stessa Carta di Nizza, letti
alla luce dell’evoluzione giuridica (frutto del mutare dei costumi sociali e del
sentire sociale) intervenuta in diversi Stati membri dell’unione europea – la
relazione di una coppia omosessuale deve rientrare nella nozione non solo di
« vita privata » ma anche di « vita familiare ».
La Suprema Corte con la
citata sentenza, ha aggiornato di conseguenza la posizione su cui si era
attestata la Corte costituzionale. Infatti, la C. Cost. (sent. 15 aprile 2010 n.
138), pur giungendo sostanzialmente al medesimo risultato a cui sarebbe poi
pervenuta la Corte di Strasburgo, era finita con l’appiattirsi su una rigida
interpretazione storica dell’art. 29 Cost.: i costituenti intesero certamente la
nozione di matrimonio per come era allora (e tuttora) disciplinata dal codice
civile, ovvero non prendendo neanche in considerazione le persone dello stesso
sesso; secondo la Corte, « questo significato del precetto costituzionale non
può essere superato per via ermeneutica », chiarendo come la necessaria
connotazione eterosessuale del matrimonio, così come inteso all’art. 29 cost.,
non rappresenta un’irragionevole discriminazione contraria all’art. 3 cost.;
difatti, « le unioni omosessuali non possono essere ritenute omogenee al
matrimonio », offrendo, nel giustificare tale assunto, un’argomentazione (a dire
il vero difficilmente sostenibile) secondo cui la « (potenziale) finalità
procreativa del matrimonio [...] vale a differenziarlo dall’unione omosessuale »
(è stato osservato che è “difficilmente sostenibile perché nessuna norma di
legge prevede la finalità, o anche solo la capacità procreativa, come requisito
essenziale dell’istituto matrimoniale, al quale possono accedere anche persone
sterili, anziane o transessuali . Inoltre, l’aggancio — già forzato sul piano
logico — tra procreazione e matrimonio è stato recisamente negato dalla Corte di
Strasburgo in passato”) . Recependo in toto l’orientamento formulato dai giudici
di Strasburgo, la Cassazione riconosce infatti che sulla questione « se la
coppia omosessuale rientri nella nozione di “vita familiare” nell’accezione
dell’art. 8 della Convenzione [...] la risposta della Corte [europea] è
chiarissima. [...] Questa estensione, alla coppia omosessuale stabilmente
convivente, del diritto alla “vita familiare” costituisce coerente conseguenza
del riconoscimento ai singoli componenti tale coppia, da parte della Corte
europea, del diritto al matrimonio e del diritto a fondare una famiglia [...] »
(§ 3.3.4.B). Inoltre, la Suprema Corte ha chiarito, alla luce della sentenza
della Corte europea, dell’evoluzione delle tradizioni giuridiche continentali e
dell’interpretazione dei diritti previsti dalla Cedu, che « il diritto al
matrimonio riconosciuto dall’art. 12 [Cedu] ha acquisito [...] un nuovo e più
ampio contenuto, inclusivo anche del matrimonio contratto da due persone dello
sesso » (§ 3.3.4.A). In tale prospettiva non ha alcun fondamento
« giusnaturalistico » il requisito della « differenza di sesso » tra i nubendi,
che dipende pertanto da una mera scelta del legislatore nazionale. La Corte
pertanto si è soffermata ex funditus, respingendola, sulla prospettata questione
dell’inesistenza del matrimonio straniero tra coniugi dello stesso sesso, ma ha
offerto spunti anche per respingere le osservazioni di chi ha definito
« palese » la contrarietà del matrimonio straniero tra persone dello stesso
all’ordine pubblico italiano. Il concetto di « ordine pubblico »
(internazionale), com’è noto, incorpora i « principi fondamentali » che
caratterizzano l’ordinamento italiano, inclusi quelli di origine sovranazionale
e in particolare discendenti dalla Cedu, sicché in considerazione del rinnovato
concetto di matrimonio sancito dalla sentenza Schalk e della dignità
costituzionale delle unioni omosessuali di cui a C. cost. 15 aprile 2010 n. 138,
cit., la questione deve considerarsi limitata all’accertamento di una diversità
normativa tra istituti che, come dire, hanno la medesima radice e si distinguono
solo per un elemento, quello della diversità di genere appunto, che può essere
corretto dal legislatore, ma certamente non può costituire, da solo, la base per
un ricorso all’eccezione di ordine pubblico. Del resto, in passato la questione
della diversità di sesso dei coniugi come limite di ordine pubblico
internazionale era da ritenersi superata soprattutto alla luce di esperienze
straniere di Stati, come Israele e New York, che consentivano di dare effetto ai
matrimoni same-sex stranieri pur non riconoscendo quelli domestici ed oggi deve
ancor di più ritenersi inconsistente alla stregua della sentenza della Corte
Suprema degli Stati Uniti che ha stabilito che il matrimonio è un diritto
garantito dalla Costituzione anche alle coppie omosessuali, sicché tutti i 50
Stati dell’Unione dovranno permettere a due persone dello stesso sesso di
sposarsi e riconoscere i matrimoni omosessuali contratti in qualsiasi parte del
Paese. Anche la Suprema Corte del Messico ultimamente ha riconosciuto la
validità dei matrimoni in parola anche se su piano locale si sono già espressi
le amministrazioni addirittura prevedendo una sorta di obiezione di coscienza
opponibile dagli ufficiali dello stato civile locali. Non vanno nemmeno
sottaciuti, al fine di escludere il predetto limite di ordine pubblico
internazionale, i moniti e/o auspici più volte espressi dal parlamento Europeo e
rivolti agli Stati dell’U.E. di legiferare in materia di unioni di coppie
omosessuali.
Dunque il significativo ampliamento della tutela giudiziaria dei
diritti delle persone e delle coppie omosessuali, su cui già la Corte
costituzionale del 2010, si era riservata, nell’inerzia del legislatore (ancora
attuale dopo un lustro, atteso che solo in questi giorni la relatrice Cirinnà ha
dato parere favorevole all’emendamento 1.109 Ichino, che colloca nei registri di
stato civile e non in registri separati gli atti relativi alle unioni civili, ed
all’emendamento 1.1218 Malan, che elimina la possibilità di unione civile fra
minori, prevista nel testo originario su autorizzazione del tribunale), di
intervenire a tutela di specifiche situazioni secondo un controllo di
ragionevolezza, è stato vieppiù esteso dalla Suprema Corte, che ha rilevato
come, con le c.d. « sentenze gemelle » del 2007, la Corte costituzionale avesse
affermato che non solo il testo della Cedu, ma anche la giurisprudenza della
Corte di Strasburgo fungono da parametro interposto nel giudizio di legittimità
costituzionale. Di conseguenza, i giudici nazionali « hanno il dovere di
interpretare la norma interna in modo conforme alla norma convenzionale
fintantoché ciò sia reso possibile dal testo di tale norme e, in caso di
impossibilità dell’interpretazione “conforme”, di sollevare questione di
legittimità costituzionale della norma interna per contrasto con la norma
convenzionale “interposta”, per violazione dell’art. 117, comma 1, cost.; con
l’ulteriore conseguenza che l’interpretazione data dalla Corte europea vincola,
anche se non in modo incondizionato, detti giudici e costituisce il “diritto
vivente” della Convenzione » (§ 3.3.4). Cioè la Cassazione ha voluto richiamare
l’attenzione dei nostri giudici sul reale effetto di questa particolare sentenza
della Corte europea nell’ordinamento italiano: i « componenti della coppia
omosessuale, conviventi in stabile relazione di fatto, se — secondo la
legislazione italiana — non possono far valere né il diritto a contrarre
matrimonio né il diritto alla trascrizione del matrimonio contratto all’estero,
tuttavia — a prescindere dall’intervento del legislatore in materia —, quali
titolari del diritto alla “vita familiare” e nell’esercizio del diritto
inviolabile di vivere liberamente una condizione di coppia e del diritto alla
tutela giurisdizionale di specifiche situazioni, segnatamente alla tutela di
altri diritti fondamentali, possono adire i giudici comuni per far valere, in
presenza appunto di “specifiche situazioni”, il diritto a un trattamento
omogeneo a quello assicurato dalla legge alla coppia coniugata e, in tale sede,
eventualmente sollevare le conferenti eccezioni di legittimità costituzionale
delle disposizioni delle leggi vigenti, applicabili alle singole fattispecie, in
quanto ovvero nella parte in cui non assicurino detto trattamento, per assunta
violazione delle pertinenti norme costituzionali e/o del principio di
ragionevolezza » (§ 4.2).
Quindi, il ricorso all’incidente di legittimità
costituzionale davanti alla Consulta è solamente eventuale, ben potendo il
giudice comune procedere direttamente all’estensione dei diritti per mezzo di
un’interpretazione convenzionalmente orientata della norma interna.
In tali
linee guida, relative a casi particolari, va letta appunto quella pronuncia del
Tribunale di Reggio Emilia che ha attribuito la qualifica di « coniuge »,
quantomeno dal punto di vista sostanziale, al partner same-sex sposato in altro
Stato membro, con conseguente illegittimità del provvedimento di espulsione ed
estensione del permesso di soggiorno al partner.
E parimenti Cass. n.
8097/15, la quale ha ritenuto che la rettificazione di attribuzione di sesso di
persona coniugata non può comportare, a seguito della declaratoria di
illegittimità costituzionale degli artt. 2 e 4 della legge 14 aprile 1982, n.
164, operata con la sentenza, additiva di principio, n. 170 del 2014 della Corte
costituzionale, la caducazione automatica del matrimonio, poiché non è
costituzionalmente tollerabile, attesa la tutela di cui godono le unioni tra
persone dello stesso sesso ai sensi dell’art. 2 Cost., una soluzione di
continuità del rapporto, tale da determinare una situazione di massima
indeterminatezza del nucleo affettivo già costituito, sicché il vincolo deve
proseguire, con conservazione ai coniugi del riconoscimento dei diritti e doveri
conseguenti al matrimonio, sino a quando il legislatore non intervenga per
consentire alla coppia di mantenere in vita il rapporto con altra forma di
convivenza registrata che ne tuteli adeguatamente diritti ed obblighi (in
motivazione si legge: Al riguardo deve rilevarsi che la mera possibilità di
richiedere giudizialmente l’adeguamento, come indicato dalle sentenze n. 138 del
2010 della Corte Costituzionale e 4184 del 2012 della Corte di Cassazione, nella
titolarità e nell’esercizio dei diritti fondamentali che costituiscono il nucleo
del riconoscimento costituzionale ex art. 2 Cost., alle unioni omoaffettive è
del tutto inidoneo a colmare il deficit di tutela individuato dalla Corte
Costituzionale, perché la fattispecie cui aver riguardo non è una relazione di
fatto, ancorché costituzionalmente protetta, ma un’unione matrimoniale,
caratterizzata dal massimo grado di protezione giuridica dei suoi componenti.
Risulta, in conclusione, necessario, al fine di dare attuazione alla
declaratoria d’illegittimità costituzionale contenuta nella sentenza n. 170 del
2014, accogliere il ricorso e conservare alle parti ricorrenti il riconoscimento
dei diritti e doveri conseguenti al vincolo matrimoniale legittimamente
contratto fino a quando il legislatore non consenta ad esse di mantenere in vita
il rapporto di coppia giuridicamente regolato con altra forma di convivenza
registrata che ne tuteli adeguatamente diritti ed obblighi. La conservazione
dello statuto dei diritti e dei doveri propri del modello matrimoniale è,
pertanto, sottoposta alla condizione temporale risolutiva costituita dalla nuova
regolamentazione indicata dalla sentenza).
Tutto ciò premesso va osservato
che il caso in esame non riguarda il matrimonio contratto all’estero da due
cittadini italiani dello stesso sesso, che in virtù della predetta pronuncia,
pur non essendo inesistente né invalido, non è trascrivibile (ovvero atto
inefficace ai fini della trascrizione) negli atti dello stato civile in quanto
il legislatore è rimasto inerte, nonostante le varie sollecitazioni anzidette,
nell’approntare le opportune modifiche dell’ordinamento dello stato civile al
fine di tutelare secondo le previsioni costituzionali e convenzionali le unioni
omoaffettive.
Ed invero nella specie si tratta del matrimonio contratto in
Francia da due cittadine francesi (di cui una anche cittadina italiana iure
sanguinis), ammesso in Francia anche tra coniugi dello stesso sesso; la coppia
coniugata secondo quella legislazione si è trasferita in Italia per ragioni
lavorative e in quanto residente in Italia ha chiesto la trascrizione del
matrimonio contratto all’estero.
Dunque, trattandosi di coppia omosessuale
legalmente coniugata secondo la legislazione dello Stato di cittadinanza , che
ammette il matrimonio tra persone dello stesso sesso, non sorgono le questioni
tutte interne alla legislazione italiana che difetta di una normativa che regoli
l’unione di persone dello stesso sesso come coniugi ovvero come unione sia pure
regolata da forme di tutela differenziata. Si è detto come ai singoli Stati
dell’Unione Europea sia riservata la legislazione in materia (Articolo 9:
Diritto di sposarsi e di costituire una famiglia Il diritto di sposarsi e il
diritto di costituire una famiglia sono garantiti secondo le leggi nazionali che
ne disciplinano l’esercizio) con la conseguenza che l’unione in parola, se
riconosciuta come coniugale da uno Stato, non può l’altro Stato, in cui la
stessa coppia coniugale intenda trasferirsi, disconoscere tale forma di unione
legale per lo Stato di appartenenza ovvero riconoscerla come unione di fatto o
come unione in ipotesi disciplinata secondo le diverse forme dello Stato di
residenza. In tal modo, infatti e a prescindere che allo stato l’Italia non
appresta alcuna forma di tutela familiare alle unioni omosessuali, risulterebbe
disapplicata la norma convenzionale (art. 12 carta di Strasburgo) che comprende
il diritto al matrimonio di persone appartenenti allo stesso sesso secondo la
legislazione dello Stato di appartenenza (o di cui si sia acquista la
cittadinanza), nonché la norma convenzionale (art.14) che comprende anche il
diritto di una coppia omosessuale ad una “vita familiare”, che non può
affievolirsi, nemmeno per uno solo dei coniugi di originaria (ed unica)
cittadinanza francese, al passaggio da uno Stato all’altro: il mancato
riconoscimento di un’unione registrata o di un matrimonio same-sex pregiudica la
libera circolazione delle persone e, dunque, il funzionamento del mercato
interno. Sarebbero violati i diritti fondamentali riconosciuti ai cittadini
dell’Unione (artt. 18 e ss. TFUE) e cioè quello di circolare e soggiornare nel
territorio degli Stati membri (art. 21, comma 1 TFUE) e a non subire
discriminazione in base alla nazionalità (art.18 cit.). Ma anche l’art. 21 CEDU
(Articolo 21: Non discriminazione. 1.È vietata qualsiasi forma di
discriminazione fondata, in particolare, sul sesso, la razza, il colore della
pelle o l’origine etnica o sociale, le caratteristiche genetiche, la lingua, la
religione o le convinzioni personali, le opinioni politiche o di qualsiasi altra
natura, l’appartenenza ad una minoranza nazionale, il patrimonio, la nascita,
gli handicap, l’età o le tendenze sessuali. 2. Nell’ambito d’applicazione del
trattato che istituisce la Comunità europea e del trattato sull’Unione europea è
vietata qualsiasi discriminazione fondata sulla cittadinanza, fatte salve le
disposizioni particolari contenute nei trattati stessi) vieta ogni forma di
discriminazione fondata sull’orientamento sessuale della persona e sulla
nazionalità del cittadino dell’Unione e non v’è dubbio che la mancata
trascrizione del matrimonio delle cittadine francesi, legittimamente contratto
in Francia (che per la riconosciuta riserva di legislazione nazionale ammette i
matrimoni tra persone dello stesso sesso), solo perché residenti in Italia (che
non ha ancora apprestato forme di garanzia alle unioni civili di persone dello
stesso sesso), costituirebbe un vulnus all’esercizio di tutti quei diritti
connessi al loro stato di coniugi che l’Italia non può affatto disconoscere solo
perché non ha inteso (ancora) riconoscere forme di tutela a dette unioni civili
per i propri cittadini.
In definitiva, la riserva di giurisdizione del
giudice interno già impone nell’ottica di un’applicazione delle norme,
costituzionalmente orientata e conforme all’interpretazione di quelle
convenzionali, di ritenere trascrivibile in Italia il matrimonio di cittadini
stranieri e dell’Unione, a prescindere dal loro orientamento sessuale e/o
appartenenza di genere, che come si è detto non costituisce limite di ordine
pubblico interno ed internazionale, avendo la Stessa Suprema Corte preso atto di
una realtà sociale — quella delle coppie gay e lesbiche — invece esistente e
viva, che anzi costantemente reclama tutela da parte del diritto.
Ma a
prescindere dalle pure assorbenti questioni di diritto costituzionale e
convenzionale, la ricerca della soluzione del caso (particolare e diverso
rispetto a quello già oggetto del vaglio della Suprema Corte) impone di
evidenziare che la fattispecie in esame trova una regola specifica nell’art. 19
d.p.r. n.396/00, secondo il quale “1. Su richiesta dei cittadini stranieri
residenti in Italia possono essere trascritti, nel comune dove essi risiedono,
gli atti dello stato civile che li riguardano formati all’estero. Tali atti
devono essere presentati unitamente alla traduzione in lingua italiana e alla
legalizzazione, ove prescritta, da parte della competente autorità
straniera”.
E’ stato precisato che ai sensi della L. 31 maggio 1995, n. 218,
art. 28, di riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato, il
matrimonio è valido, quanto alla forma, se è considerato tale dalla legge del
luogo di celebrazione, o dalla legge nazionale di almeno uno dei nubendi al
momento della celebrazione, o dalla legge dello Stato di comune residenza in
tale momento. Il principio dell’immediata rilevanza del matrimonio celebrato
all’estero secondo le forme previste dalla legge straniera non è dunque
condizionato dalle norme italiane relative alla trascrizione: questa, infatti,
non ha natura costitutiva, ma meramente certificativa e scopo di pubblicità, di
un atto già di per sé valido in base al principio locus regit actum (cfr.
Cassazione civile sez. VI 18 luglio 2013 n. 17620; Cass. n. 10351/98).
E cioè
una volta riconosciuto che il genere della coppia dei coniugi stranieri non
costituisce limite di ordine pubblico (nazionale ed internazionale) e che ad
ogni Stato dell’Unione compete convenzionalmente la riserva di legge in ordine
alle forme di unione delle coppie omosessuali, la trascrizione del matrimonio di
coniugi stranieri residenti in Italia, ex art. 19 cit., non può incontrare alcun
limite, opponibile dall’amministrazione dello Stato di residenza, nemmeno
riferito all’appartenenza di genere della coppia coniugata. Né può configurarsi
una disparità di trattamento per così dire “a contrario” nel senso che il
matrimonio same sex di cittadini stranieri avrebbe maggiore tutela (allo stato
inesistente) delle coppie omoaffettive italiane, perché la deteriore situazione
di queste ultime è attribuibile solo all’inerzia del legislatore italiano più
volte ammonito e sollecitato a legiferare in materia; in altri termini e
semplificando la questione sarebbe proponibile se si volessero aggiungere
diritti ai discriminati e non per disconoscerli a chi li ha secondo la
legislazione dello Stato di cittadinanza dell’Unione. E così appare del tutto
inconsistente la questione (prospettata nel dibattito interno al Collegio) del
rischio di consentire attraverso il predetto meccanismo anche l’eventuale
trascrizione di matrimoni poligami: tale trascrizione non potrebbe mai essere
ammessa (e ci sono anche precedenti in tal senso) essendo la poligamia contraria
all’ordine pubblico interno ed internazionale, tanto da costituire reato in
Italia (art.556 c.p.) e da non essere prevista alcuna forma di riconoscimento di
tali unioni a livello convenzionale.
P.Q.M.
a) accoglie il reclamo e per
l’effetto ordina all’ufficiale dello stato civile del Comune di Santo Stefano
del Sole (AV) di trascrivere negli atti dello stato civile il matrimonio
contratto a Tourcoing (Francia) il 5.10.2013, dalle cittadine francesi, La Delfa
Giuseppina (nata il 27.1.1963, a Tourcoing, Francia) e Hoedts Raphaelle Louise
Anna (nata il 12.7.1963 a Lille, Francia);
b) compensa le spese di lite tra
le parti in considerazione della novità delle questioni trattate.
Napoli,
13.3.2015 Il Presidente rel.
L’estensore